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Autore Redazione :: 14 Settembre 2015

I premi Oscar vanno sempre ai migliori? Spesso non è così. Ecco dei casi esemplari di vittorie vergognose

Via col vento

Che siano Miglior Attore o Migliore Attrice, o abbiano vinto per Miglior Film o Miglior Regia, non significa esattamente che se lo meritassero. Ecco qui sei esempi tra le vittorie più indegne dei premi Oscar.

Victor Fleming per la regia di Via col vento (1939)
Sì, lo sappiamo, Via col vento è uno dei grandi classici della storia del cinema, ma Victor Fleming non fu che uno dei tre registi che lavorarono sul polpettone epico ambientato durante la Guerra Civile. Il produttore David O. Selznick aveva inizialmente ingaggiato George Cukor per dirigere l’adattamento del romanzo di Margaret Mitchell, ma dopo tre settimane di riprese - e due anni di pre-produzione - Cukor fu rimpiazzato a causa di divergenze insanabili con Selznick e con la star Clark Gable, incapace di lavorare con il regista di Il diavolo è femmina. Fleming fu imbarcato mentre stava ancora girando Il mago di Oz, ma dietro le quinte fu lo stesso Cukor che continuò a fare quello che gli riusciva meglio, cioè dirigere le attrici (in questo caso Vivien Leigh e Olivia de Havilland). Anche Fleming, però, gettò la spugna dopo poche settimane e toccò a Sam Wood insediarsi in cabina di regia. Si girarono nuovamente alcune scene tra quelle già girate da Cukor. Sia lui che Wood girarono circa un terzo del film. Il terzo restante fu girato da Fleming, che vinse l’Oscar battendo John Ford (Ombre rosse) e Frank Capra (Mr. Smith va a Washington).

Com’era verde la mia valle (1941)
Basta guardare l’anno per capire che la vittoria del drammone strappalacrime di John Ford nella categoria Miglior film, fu una delle più grandi farse nella storia degli Oscar. Anche il più sprovveduto amante del cinema lo sa: il 1941 è stato l’anno di Quarto potere, un film nettamente superiore - da tutti i punti di vista - rispetto a quello di Ford. È solo a causa della somiglianza tra il protagonista del film Charles Foster Kane con il vero magnate dei quotidiani William Randolph Hearst che a Quarto potere fu negato l’Oscar. Hearst era furioso per il ruvido ritratto fattogli da Wells e vietò ai propri giornali di citare o recensire Quarto potere. Inoltre passò parte del suo tempo a terrorizzare i proprietari di sale cinematografiche, cercando di impedirgli di proiettare il film. Infine, arrivato il momento dei premi Oscar, si mise a minacciare i votanti. Se solo Hearst fosse stato meno suscettibile, forse non si sarebbe mai arrivati a un affronto di tale livello.

Il più grande spettacolo del mondo (1952)
Difficilmente ci si trova in disaccordo quando si sostiene che premiare la sperticata ode al mondo del circo fatta da Cecile B. DeMille è stato uno dei più grandi errori nella storia degli Oscar. Lungo, pomposo e tuttavia limitato, Il più grande spettacolo del mondo, non fu altro che una immensa leccata di piedi ai fratelli Ringling e al circo Barnum & Bailey. Persino nel momento topico del film, quando il treno che trasporta il circo si scontra con una macchina ferma sui binari, si ha la sensazione di qualcosa di puerile, di sciocco (tenuto comunque conto dei limiti degli effetti speciali nel 1952). Se solo Il più grande spettacolo del mondo non fosse stato un così gran successo di pubblico, l’Oscar sarebbe molto probabilmente andato a Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann, prodotto da Stanley Kramer.

Elisabeth Taylor migliore attrice in Venere in visone (1960)
La stessa Taylor disprezzò la sua performance. Fu costretta da obblighi contrattuali con la MGM a interpretare il ruolo di Gloria Wandrous, una “ragazza di facili costumi” che rimbalza da uomo a uomo. Incapace di emozioni vere e completamente infelice, Gloria trova comunque l’amore. Anche se la sua performance è stata premiata con l’Oscar, la Taylor ha sempre detto di aver odiato il film, e di aver accettato il ruolo perché era l’unico modo per poter girare Cleopatra (1963) con la 20th Century Fox. Durante le riprese del film, inoltre, la Taylor ebbe una storia con l’attore (sposato) Eddie Fischer, attirando così accuse di essere una sgualdrina e una sfascia famiglie, proprio le accuse che venivano rivolte al personaggio di Gloria. A livello di interpretazione, invece, forse sia Shirley MacLaine ne L’appartamento che Deborah Kerr ne I nomadi avrebbero meritato il premio più della Taylor.

John Wayne miglior attore per Il Grinta (1969)
Gli amanti di John Wayne stanno già storcendo il naso, ma siamo onesti: la statuetta è stata più un riconoscimento alla carriera che il premio per una singola performance d’attore. Anzi, a essere estremamente franchi bisognerebbe ammettere che John Wayne non fu mai un grande attore. Fu una grandissima stella del cinema e un campione del botteghino. Senza dubbio. Ma ha recitato lo stesso personaggio per 50 anni di carriera. Ha deviato leggermente dal cammino solo in film come Iwo Jima, deserto di fuoco (1949), Un uomo tranquillo (1952) e Sentieri selvaggi (1956). L’interpretazione del pistolero ubriacone Rooster Cogburn non fu niente di che (ed è invecchiata male). Uno a caso della coppia Voight-Hoffman (Un uomo da marciapiede) avrebbe meritato di più.

John G. Avildsen miglior regista per Rocky (1976)
Regista di mestiere, Avildsen non fu mai capace di grandi balzi, né prima né dopo Rocky. Mostra la capacità di utilizzare qualche attrezzo del mestiere in film come Salvate la tigre (1973), I vicini di casa (1981) e Per vincere domani - The Karate Kid (1984), ma al di là di questi alti (molto relativi), ha avuto una carriera sottotono. Non si tratta del mediocre lavoro fatto trattando la sceneggiatura di Stallone, ma dei registi in competizione con lui quell’anno. Abbiamo Alan J. Pakula con Tutti gli uomini del presidente e Sidney Lumet con Quinto Potere, la sua satira al mondo della televisione. Il miglior regista dell’anno, però, non ricevette neppure la nomination. Stiamo parlando di Martin Scorsese, il cui Taxi Driver fu completamente ignorato. Certo, Rocky è stato un successo di pubblico e ha portato una ventata d’aria fresca nel cinema malinconico degli anni ’70, ma da qui a vincere l’Oscar…

articolo di Shawn Dwyer apparso originariamente su about.com

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