Recensione di I Mercenari 3 - The Expendables | Commovenza nostalgica tra botte da orbi e riscatto esistenziale
Recensione di I Mercenari 3 - The Expendables di Patrick Hughes: Un'opera di riscatto esistenziale, di evocazione eastwoodiana, di drammatica resurrezione nascosta nelle vesti di action esplosivo e cazzeggio fra amici
C'è una certa malinconia nello sguardo di Stallone, quel carisma deformato da fantasma sopravissuto, da miraggio ideologico prima ancora che fisico: era un perdente in Rocky nel '76, e lo è ancora oggi, quasi 40 anni dopo, mentre spiega ai suoi compagni mercenari che “eravamo i migliori, ma bisogna accettare il fatto che non siamo più noi, il futuro”. Che lui, come Schwarzenegger o Dolph Lundgren, sono appunto, degli Expendables, spazzatura sacrificabile.
Se il secondo capitolo della saga action ideata da Stallone si ritagliava maggior spazio al machismo cool a tutti i costi (e basti citare la presenza di Chuck Norris – icona della tamarraggine per eccellenza), qui ritorniamo ad un'atmosfera più nostalgica, con i nostri protagonisti sull'orlo della senilità che si guardano come corpi da esposizione museale, oggetti di un passato che cerca perennemente di ritornare in vita, forse inutilmente. Eppure, era proprio Rocky Balboa a dire, carico di commovente umanità, che “è finita si dice alla fine”: ecco perchè I Mercenari 3 – The Expendables è un film d'altri tempi, un glorioso regalo al cinema e non solamente una riunione forzata fra divi dell'action ormai demodè; Stallone firma ancora una volta, tramite la regia di Patrick Hughes, un'opera di riscatto esistenziale, di evocazione eastwoodiana, di drammatica resurrezione nascosta nelle vesti di cazzeggio fra amici. Perchè dietro le pacche sulle spalle e le battute fra compari burberi da strip bar troviamo, in maniera nemmeno così celata, un urlo d'esistenza (e resistenza) così fragoroso da essere toccante: Barney Ross come Rocky Balboa, ultimo dei possibili eroi cinematografici old school.
Tutto questo, mentre sullo sfondo scorre del gran action fracassone come piace a noi; Hughes viene dal Western e ce lo dimostra con gli immancabili dettagli sugli occhi del protagonista, forse l'unica parte del corpo di Stallone a non aver subito un intervento di chirurgia plastica, e per questo ancora così perforante, autentica, viva. Fuori il Bruce Willis che voleva troppi soldi e dentro l'Harrison Ford che svela, alla fine, “di non divertirsi così tanto da un bel po'”, assieme ad altre new entry come un Antonio Banderas in rispolverata comica, un Wesley Snipes che si rade la barba con una sciabola, e soprattutto un Mel Gibson immenso villain, nemesi ed ex migliore amico del protagonista. L'avventura prosegue tra assalti a treni in corsa e botte da orbi, fino a un finale mai così gran, dove i nostri mercenari si troveranno a fronteggiare un intero esercito, carri armati compresi: un action che è puro delirio e mai curato con pulizia, a regnare è l'impercettibile caos esplosivo della ruvidezza, la medesima di un 68enne tutto botox e paralizzata imperfezione che sale nuovamente sul ring del cinema per dimostrare al mondo che la scritta fine è ancora ben lontana dall'orizzonte. E tutto ciò, sappiatelo, è bellissimo.
Voto della redazione:
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