Recensione di Jimmy’s Hall - Una storia d’amore e libertà | Un Loach retorico e noioso
Recensione di Jimmy’s Hall - Una storia d’amore e libertà di Ken Loach. Un risultato sottotono e carico della peggior retorica socialista per il presunto addio alle scene del cineasta britannico
Dopo il frizzante, energico e divertente La parte degli angeli (premio della giuria a Cannes 2012) era lecito attendersi dal vecchio leone Ken Loach, che ha annunciato con quest’ultimo titolo il ritiro dalle scene, un gran finale scoppiettante.
Purtroppo, contro ogni aspettativa, Jimmy’s Hall - Una storia d’amore e libertà è invece una chiusura in sordina che va a recuperare la peggior retorica socialista cara al regista britannico e, come nei suoi risultati meno brillanti, annoia mortalmente, senza riuscire a dare nulla, né dal punto di vista registico né da quello narrativo.
Nell’Irlanda post-guerra civile fa ritorno il figliol prodigo Jimmy Gralton (Barry Ward) dopo dieci anni negli States e, spinto dalla comunità locale, decide di riaprire uno spazio d’incontro destinato ai giovani (la “hall” del titolo). La cosa non farà piacere alle autorità religiose e ai conservatori, che lo vedranno come luogo di peccato, e le tensioni culmineranno con l’ingiusta espulsione di Jimmy dalla terra natia.
Nel raccontare una vicenda realmente accaduta, Loach si fa prendere la mano dal fervore sinistroide e tratteggia un ritratto incolore e manicheo dell’Irlanda anni Trenta in preda alla febbre rossa: da un lato il popolo operaio, positivo, vitale, palpitante, dall’altro le eminenze grigie, maligne, ottuse, cieche e sorde ai bisogni della gente.
Un lavoro piatto, che si trascina di discussione in discussione e che non può contare nemmeno su una valida compagine di protagonisti: da un lato e dall’altro, sono gruppi senza volto che dialogano, all’interno dei quali non spicca nemmeno una figura di riferimento interessante.
Molta noia, dunque, e molto rammarico, specialmente se si pensa alla recente uscita di un film che, pur raccontando tutt’altro avvenimento ed essendo situato nel Regno Unito, riesce a proporre un vibrante e coloratissimo ritratto del popolo operaio: tra il bel Pride di Matthew Warchus e il loffio Jimmy’s Hall c’è un abisso.
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Poco rispettoso dirlo, ma forse Loach avrebbe dovuto mettere da parte la pesante retorica sindacalista di cui il suo cinema è da sempre intriso e imparare dai più giovani che le lotte proletarie si possono rappresentare anche con allegria, brio e freschezza. In ogni caso, è probabile che il settantottenne cineasta britannico non si fermi qui, nonostante le dichiarazioni: avrà sicuramente in cantiere altri documentari e non si esclude un ritorno alla fiction. Si spera, di altro livello.
Voto della redazione:
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