Pussy have the power
Il titolo è un noto slogan femminista. La prospettiva che Lovisa Sirén sposa nel cortometraggio di quindici minuti Pussy Have The Power, premiato in Svezia come miglior corto al Festival di Göteborg 2014, dimostra come il percorso di liberazione sessuale sia ancora tanto lungo. Non si può allora che ricadere nella stessa crisi, quando un prodotto musicale creato da un gruppo di donne, in cui il “messaggio” ritenuto importante - in effetti, la considerazione del “messaggio” contenuto in quanto tale in un prodotto dell’arte è molto banale – può essere inficiato nella sua efficacia dall’intervento maschile. Ma l’espediente narrativo ha proprio questo di forte: ci mette ancora in crisi sull’oggetto in questione, dal momento che non riusciamo a pensare un panorama giovanile differente da quello messo in scena da Sirén: occorre ripartire da quei minimi stereotipi di tante lotte passate. Occorre soprattutto riconsiderare il senso della parola “autonomia” e quindi come suggerisce la definizione del termine (presa così com’è su Wikipedia: autonomia (dal greco antico αὐτονομία; αὐτόνομος, autònomos, parola composta da αὐτο-, auto- e νόμος, nomos, "legge", ovvero "legge propria"), si intende la possibilità per un soggetto di svolgere le proprie funzioni senza ingerenze o condizionamenti da parte di terzi.
La domanda allora sorge spontanea, dove inizia e dove finisce il condizionamento perché si abbia autonomia. Poco a poco la stessa conclusione del film suggerisce la banalità del senso di autonomia.
La strada quindi è quella giusta per le lotte femminili, ma occorre liberarsi da un certo integralismo che spesso le tiene bloccate.
Il film di Sirén ha la capacità di sintesi e di freschezza, con i visi e i corpi giusti. Un’ottima prova che trova conferma rispetto all’altro corto del 2012, Himalaya, laddove è il semplice contatto epidermico a polarizzare la visione. Nella sua estrema purezza lo sguardo di Sirén possiede tutti quei sentimenti in grado di elevare lo spettatore.
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