Ritratto di Rebecca Amanda Snyder
Autore Rebecca Amanda ... :: 26 Aprile 2014

Incontro con Jean-Charles Fitoussi, cineasta atipico, che ama mescolare realtà, poesia e fantasia, interrogando il tempo, l'esistenza e il caso.

L'Enclos du Temps di Jean-Charles Fitoussi

Incontro con Jean-Charles Fitoussi, cineasta atipico, che ama mescolare realtà, poesia e fantasia, interrogando il tempo, l'esistenza e il caso.

Fitoussi ha realizzato, a partire da I giorni in cui non esisto (Les jours où je n'existe pas, 2002), una serie di film raggruppati sotto il titolo “Le Château de Hasard”, per rendere omaggio al caso, vera matrice della sua opera cinematografica.
Assistente di Jean-Marie Straub et Danièle Huillet tra il 1996 e il 2007, mutua dai due cineasti la volontà di girare i suoi film con mezzi ridotti al minimo (presa del suono diretta, attori non professionisti), privilegiando i piani sequenza o le inquadrature fisse. La sua opera si crea sovente nell'improvvisazione permanente, senza dialoghi e sceneggiatura preliminari, lasciando spazio alla scelta del caso.
Ha girato corto e lungometraggi in 35 mm, col video, in digitale o sul telefono cellulare (come il film Nocturnes pour le roi de Rome, girato nel 2005 e selezionato al festival di Cannes nel 2006).
Nel 2013 Fitoussi ottiene il premio Jean-Vigo per il film L'enclos du temps.

“Le Château de Hasard” è nato per rendere omaggio al caso e al potere che questo innesca nel processo creativo. Il progetto scaturì dalla volontà di ridonare vita ai personaggi creati nei film precedenti. Dopo aver terminato Il dio saturno (2003), che racconta le vicende di un uomo solitario deciso ad uccidere i propri figli per risparmiare loro le miserie della vita, Fitoussi ha deciso di continuare a raccontare le vicende dei personaggi, creando delle genealogie e delle vere e proprie serie, come avviene, per esempio, coi Duhamel nei film di Truffaut, salvo che la famiglia de “Le Château de Hasard” si costruisce progressivamente là dove le necessità diegetiche dell'intrigo si sposano al caso fortuito degli incontri.

Il film che lo ha reso noto al pubblico è stato il suo primo lungometraggio, I giorni in cui non esisto, nato dall'incontro tra un luogo che aveva destato la curiosità del regista, l'appartamento di un'amica, e il racconto di Marcel Aymé. È la storia di un uomo che vive la sua vita a metà perché non esiste che un giorno su due. L' intento del regista era quello di far sentire allo spettatore lo strano privilegio, al quale ci si è ormai abituati, dell'esistenza delle cose e di tradurre, attraverso un personaggio 'intermittente', il problema del tempo scomparso nello spazio del raccordo cinematografico. La produzione del film, spalmata su quattro cicli di riprese nell'arco di due anni, fu una vera odissea a causa dei piccoli e grandi incidenti che ne ritardarono la fabbricazione. Fitoussi seppe tradurre tali imprevisti in elementi necessari al film come quando, durante alcune riprese estive, seppe sfruttare la presenza intermittente degli attori, partiti a turno per le vacanze, realizzando dei campo-controcampo con gli attori che si rivolgevano a persone inesistenti, coerentemente con il principio ispiratore del film.

Il regista si pone volontariamente in un atteggiamento di accettazione del caso e di sottomissione alla realtà citando, a mo' di manifesto poetico, le parole di un filosofo a lui caro, Clément Rosset, che ha scritto sulla questione del reale: «ciò che esiste esiste, e ciò che non esiste, non esiste», tautologico e profondamente vero: bisogna fare con ciò che esiste e con quello bisogna cavarsela. Di qui l'atteggiamento di sufficienza per quei registi che, durante le riprese, tentano di lottare con tutte le loro forze contro le necessità che si impongono loro e che decidono, di conseguenza, di distruggere e ricostruire, invece di privilegiare l' apertura verso il reale. D'altra parte limiti, vincoli e regole sono potenti catalizzatori del processo creativo. Fitoussi cita Buñuel e il suo rifiuto della libertà, e Stravinsky: «chi pone un limite, crea una forza».

Il riferimento alla musica, però, non è casuale. Il regista cita un testo di Luciano Berio, Points of a courve to find, che esemplifica il suo modo di operare: egli si comporta come un compositore che conosce solo alcuni dei punti, degli elementi del racconto ma la “curva” si conoscerà solo alla fine. Di qui il modus operandi del regista, la cui opera si crea nell'improvvisazione permanente, senza dialoghi e sceneggiatura preliminari, lasciando spazio alla scelta del caso perché, alle volte, accostamenti azzardati possono manifestare una fortissima necessità. Insomma, secondo Fitoussi non si può prevedere un film, e ai produttori che arricciano il naso di fronte a tale scelta, lui risponde con una dichiarazione di intenti: “Come non ho scritto alcuni miei film” (J.-C. Fitoussi, «Comment je n'ai pas écrit certains de mes films», Trafic, n. 73, printemps 2010).

Fitoussi utilizza la pellicola cinematografica come un 'bloc-notes', rieditando un metodo impiegato a partire dal cinema muto di Chaplin e Keaton: allora, il film si creava durante le riprese. Oggi, invece, ciò che determina il film è la sceneggiatura che, per di più, non descrive le inquadrature ma le sequenze. Da buon allievo di Straub-Huillet, Fitoussi deplora il fatto che nel cinema contemporaneo, a parte i grandi film, si sia perso il piacere dei raccordi: le sceneggiature non sono più scritte in découpage, ma vengono emendate dalle descrizioni di inquadrature e raccordi da sedicenti scriptdoctors!

Questo modo di lavorare atipico rende molto più complessa la richiesta di finanziamenti. Infatti, in Francia, le regole attuali, come per esempio la formula dell'“anticipo sulle entrate” (avance sur recette), e che riguardano i finanziamenti da parte delle regioni e delle televisioni, impediscono di incominciare le riprese prima della richiesta di finanziamento, assolutamente niente deve essere girato. Insomma, la strada è in salita su tutti i fronti per Fitoussi ma ciò non gli ha impedito di proseguire la costruzione del suo Chateau de Hasard, e di acquisire notorietà, tanto che nel gennaio scorso la Cinémathèque Française gli ha dedicato una grande retrospettiva.

Nel cinema di Fitoussi anche la direzione degli attori dipende dal caso fortuito degli incontri, dalle persone che sono sul set e dalla loro natura. In generale, Fitoussi preferisce non scrivere i dialoghi o, meglio, questi ultimi vengono trovati sul posto, in scena. Una consuetudine che ha cominciato a mettere in pratica progressivamente. Je ne suis pas morte (2008) è un film esemplare in questo senso perché conserva le tracce di un cambiamento di metodo: i dialoghi dell'inizio del film sono stati scritti mentre quelli della fine son nati in scena.

Ciò che interessa al regista è che ogni persona si senta libera di esprimere la propria natura e di resistere alla volontà del regista creando interpretazioni differenti. Di qui l'aspetto variopinto, dissonante, dissimile dei suoi film, popolati da attori che recitano e da altri che non recitano: la realtà può apparire diversa a partire dallo stesso occhio ed è questo che è importante cogliere.

 

 

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