Ritratto di Marco Rovaris
Autore Marco Rovaris :: 31 Gennaio 2015

L'attrice, ora lanciatissima con "Still Alice" verso gli Oscar, ha dichiarato che dopo la morte della madre si è cristallizzata in lei l'idea che Dio non esista: Julianne Moore suggerisce di considerare l'uomo come artefice del proprio destino

Julianne Moore

Julianne Moore ha detto la sua sull'esistenza di Dio e sulla scelta dell'ateismo. L'attrice - che di recente ha anche interpretato il personaggio di Sarah Palin in Game Change, film prodotto dall'HBO nel 2012 - ha dichiarato che la morte della madre nel 2009 ha consolidato la sua visione univoca del mondo: Dio non esiste. "Ho imparato, quando mia mamma è morta 5 anni fa, che non esiste nessun aldilà dopo la vita terrena", ha dichiarato la Moore a Hollywood Reporter, "Si tratta di una sovratruttura completamente imposta. Noi cerchiamo di imporre un ordine e una narrazione logica per e su ogni cosa nel tentativo di spiegarla. Ma, in realtà, non vi è altro che il caos".

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Il Signore non dirige le nostre azioni: "L'idea secondo la quale tu sei il centro della tua propria esistenza e puoi creare la tua vita è una grande intuizione; credo assolutamente in questo. Sono stata fortunata, ma sento di aver completamente creato la mia intera vita". Ora cinquantaquattrenne, Julianne Moore è figlia di un pilota di elicottero e paracadutista dell'esercito e ha trascorso l'infanzia sempre spostandosi da un luogo all'altro.

In una intervista non lontana nel tempo, a cavallo della post-produzione di Carrie, la Moore aveva in realtà definito sé stessa e la sua famiglia come quaccheri, termine che, oggi come oggi, identifica coloro che non riconoscono una gerarchia ecclesiastica e i sacramenti, ammettono il valore della grazia ma non la predestinazione, si oppongono a ogni violenza, alle guerre e al servizio militare, sono animati da forte egualitarismo e grande rigorismo morale. 

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L'attrice ha ricordato anche, in un'intervista a Io Donna, il rapporto fondamentale con la madre: "Il mio libro My Mom Is a Foreigner, But not for Me parla della mia vita con una madre che veniva da un altro Paese e aveva un accento differente (era scozzese). Gli Stati Uniti sono popolati in maggioranza da americani di prima generazione. Io sono una di loro, e sebbene tutti parlino di integrazione ho avuto un’esperienza diversa. Il libro è un omaggio a lei e a tutte le madri che sembrano, agli occhi dei più, davvero straniere, quasi delle aliene. A casa c’erano parecchie regole. Ricordo che non mi lasciava mai vestire di nero, lo considerava troppo sofisticato per una ragazza. Ha fatto comunque un buon lavoro, mamma, con me e le mie sorelle: a scuola andavamo tutte bene e siamo cresciute con dei valori solidi". 

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