Recensione di Moonlight: Il film indipendente sull'omosessualità scritto e diretto da Barry Jenkins ha aperto oggi l'Undicesima Edizione della Festa del Cinema di Roma
Chiron è un bambino gracile e non troppo espansivo. Anzi, non lo è per niente. La sua frase tipo è un periodo composto da soggetto, complemento e verbo. Lo chiamano "Piccolo", semplicemente perché lo è. Un ragazzino incompreso che già in tenera età deve affrontare un mondo che non permette di crescere a ritmi regolari, ma spinge a maturare in fretta; e i problemi si accumulano nella vita di Chiron: una madre tossica dalla quale non può dipendere, continui soprusi a scuola e solo tanta, troppa cattiveria e ottusità tra conoscenti e persino amici. Ma si sa, quando si è piccoli le parole escono dalla bocca senza pensare, così come si fanno sciocchezze di pancia, senza usare la testa. E allora Piccolo diventa il "frocio", una parola che nella sua incoscienza e semplicità l'ancora giovane protagonista dello splendido Moonlight di Barry Jenkins avverte come colma d'odio ma non ne coglie il significato. Certo, il termine gay per lui è ovvio, cristallino, ma qui le definizioni tradizionali lasciano il posto agli insulti sessisti per fare male. E lo fanno.
Un quadro dai colori forti, questo dipinto con intelligente capacità da Jenkins, che attraverso tre macro-capitoli condensa l'esistenza di un bambino impaurito, un adolescente represso e un adulto consapevole ma incapace di sentire sé stesso, di sfamare il suo bisogno di esplodere in tutta la sua verità in quello stesso mondo che da sempre lo ha "contenuto", sopprimendone l'essenza, la potenza e il coraggio. Trovare la forza di essere sé stessi è infatti il compito più arduo quando si pensa di risultare deboli. Una considerazione che accompagnerà Chiron lungo la sua crescita, durante la quale solo in pochi saranno in grado di assecondarlo e incoraggiarlo, soprattutto lo spacciatore pentito Juan, al quale la risata e l'espressività laconica di Mahershala Ali donano un bellissimo effetto e un intenso affetto da figura paterna mancata. L'amico di una vita, poi, sarà l'orbita intorno alla quale ruoterà tutto l'impianto omo-erotico ed emotivo dei capitoli, ognuno dei quali avrà inquadrature studiate, precise e meticolose nell'estrapolare dai dettagli una tensione sessuale recondita. Un'idea clamorosamente immediata quanto perfetta.
Jenkins racconta senza troppa retorica ma con vigorosa audacia l'omosessualità vissuta in un contesto diverso da quello medio-borghese, qui immersa invece nella povertà e in un'ignoranza dettata dai luoghi comuni. È un'opera di una potenza struggente, dove ogni movimento di macchina, ogni gesto e ogni parola lasciano spazi aperti all'interpretazione emotiva della scena. Un'apertura decisa per questa undicesima Festa del Cinema di Roma, che parte con un film indipendente che parla di indipendenza ed emancipazione, sia dal giudizio degli altri che dal proprio, che è poi il più severo di tutti. E una volta oltre, c'è la vita.
Voto della redazione:
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