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Autore Alessandro Tavola :: 10 Settembre 2015
Locandina di Sangue del mio sangue

Recensione di Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio con Roberto Herlitzka, Pier Giorgio Bellocchio, Filippo Timi, Alba Rohrwacher: il regista de "I pugni in tasca" e "L'ora di religione" torna fedele a se stesso. In Concorso Venezia 72

Interpretato da Roberto Herlitzka, Filippo Timi e Alba Rohrwacher, Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio ribadisce tutti i tratti tipici (positivi e negativi) dell’autore, questa volta in un’opera completamente sbrigliata e in grado di dettar le proprie regole a differenza del precedente Bella addormentata.

Con i pochi mezzi messi evidentemente a disposizione Bellocchio riesce a realizzare un film libero, strafottente, imperfetto (ma non è mai capitato che i suoi film lo fossero o che volessero esserlo), cinico, evocativo; il tutto secondo le sue proporzioni mentali e spirituali questa volta trasposte in un modo quasi del tutto allegorico.

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Sangue del mio sangue è un gioco in cui i temi tipici del suo cinema – talvolta triti, talvolta messi in nuova luce – vengono trattati con la giusta distanza, in un aggeggio narrativo completamente ispirato e frammentariamente realizzato. Da un lato abbiamo recitazioni capaci affiancate ad altre a mala pena accettabili, mezzi tecnici limitati (è forte nelle primissime scene la tentazione di lasciarsi abbandonare alla sensazione da fiction tv) e coordinate sbilenche: senza il nome di Bellocchio tutto parrebbe mal concretizzato. Dall’altro abbiamo un discorso infinito che si protrae dalla prima opera, destinato a non avere una fine, che qui aggiunge un nuovo pixel alla sua futura quadratura: la religione, la pazzia, i loro parametri perfettamente delimitati nel retroterra culturale e nella visione di Bellocchio.

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Sangue del mio sangue (cinema del mio cinema?) fa fluire nuovi racconti in vene già percorse e battute/idee a memoria e dalla memoria: a favore per chi sostenitore del regista, nel distacco per chi lontano dalle sue sensibilità, in constatazione episodica per gli indifferenti, e così via; col tocco comico delle parti ambientate nel presente, con lo scrupolo strettamente ed essenzialmente narrativo di quelle ambientate nel passato, col suo visceralmente inopinabile congiungere formalmente lamentabilissimo ma, per chi vorrà, riconducibile al trauma infine amorfo ed istintivo già ampiamente esplorato dal regista in questi decenni.

Perché Marco Bellocchio è come se fosse lui stesso un genere (di film, di regista) a sé: con il cattolicesimo, le famiglie, i folli, e dei tre tutte le punizioni. Con le nuove carature che è in grado di dare, rimanendo fedele – o, si potrebbe dire, soggiogato – alle propri locuzioni, ai sillogismi, al disagio originario, al suo “solito” che può essere piacevole ritrovare anche oggi.

Trailer di Sangue del mio sangue

Voto della redazione: 

3

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