Dopo la presentazione del suo "Hungry Hearts", tra i film italiani in concorso a Venezia, abbiamo intervistato il regista Saverio Costanzo che ci ha spiegato quanto questo film significhi per lui sia professionalmente che umanamente
Volendo fare dei pronostici, Hungry Hearts è il film italiano con meno probabilità di vittoria alla Mostra del Cinema di Venezia. Il nuovo lavoro di Saverio Costanzo, con protagonisti Adam Driver e Alba Rohrwacher, ha suscitato reazioni contrastanti: da una parte chi si è lasciato trasportare dalle emozioni, dall’altra coloro che criticano l’eccessiva leggerezza nel relazionarsi con un tema così delicato. Noi ci affidiamo alle parole del regista, che abbiamo intervistato subito dopo la presentazione del film.
Che cosa ti ha spinto a raccontare questa storia?
Non ho le idee così chiare. Posso dirvi che ho letto Il Bambino Indaco con il quale ho instaurato un rapporto di amore/odio. Un anno e mezzo dopo, mentre scrivevo la sceneggiatura per il mio nuovo film, mi è stranamente tornato in mente questo libro.
Qual era il rischio più grande?
Sapevo che la morbosità sarebbe stato il rischio più grande. Io ho provato a scrivere senza necessariamente giudicare i tre protagonisti della storia. La mia motivazione era imparare a guardare a questi personaggi con dolcezza e tenerezza. E, non vorrei sembrare sentimentale, ma attraverso loro era importante per me riflettere sul mio ruolo di padre. Ecco perché questo film è stato per me catartico.
Perché la scelta di ambientare il film a New York?
Per raccontare l’isolamento di Mina avevo bisogno di una città più violenta. Ho abitato a New York e ho provato e sofferto il suo stesso senso di isolamento. È una città che non si fa mai dimenticare, dove si vive bene solo se si hanno i mezzi. Una qualsiasi altra città italiana sarebbe stata poco credibile, secondo me. Mi è sembrato tutto molto naturale.
Finalmente il ritratto di un padre esemplare e un marito innamorato.
Sì, nel mio film c’è un uomo che collabora alla vita familiare. Credo che come lui ce ne siano tanti anche nella realtà. Hungry Hearts è una storia d’amore e sul disagio dell’amore, un amore che Mina non riesce a contenere e che per questo diventa tragico.
Tu che cosa ne pensi di Mina?
Spesso vogliono farci credere che si diventa madri subito ma non è così. Ecco io colgo Mina nel momento in cui si sta trasformando in una madre e parlo delle difficoltà di diventare genitori. Il film assiste a questi cambiamenti con uno sguardo pieno di dolcezza e una totale assenza di giudizio. So che Mina viene guardata con sospetto ma io non ho mai pensato che lei potesse far male al suo bambino. Lei era la mia eroina e io l’ho seguita fino alla fine. Io credo che lei avesse raggiunto piena consapevolezza proprio quando la vita è intervenuta. È un po’ come se lei si fosse sacrificata per noi.
Perché ha scelto Adam Driver per il ruolo di Jude?
Ero a New York per i casting e lui si è presentato per ottenere la parte. Ho trovato la sua recitazione molto autentica. L’avevo già visto in Girls. All’inizio non era disponibile a causa di altri impegni ma poi per fortuna si è riuscito a liberare per le quattro settimane di riprese.
Se nel libro la suocera è più compassionevole, nel film appare subito come una figura diabolica. Come mai questa scelta?
Pensa che l’ho addolcito perché la durezza non rientrava tra le caratteristiche di Roberta Maxwell. È una donna newyorkese con un marito cacciatore che non c’è più, scaltra e con un grande senso dell’ironia. Poi prende le difese del figlio anche perché forse non essendo stata una madre così affettuosa cerca di rifarsi con il nipote.
Quali sono le caratteristiche tecniche del film?
L’ho girato in 16mm. Soltanto il mio e un altro film venivano girati in pellicola a New York in quel momento. L’altro è Listen Up Philip che è stato presentato a Locarno. È un film che ha più o meno la nostra stessa impostazione, gli stessi giorni di riprese. Sono contento che esista ancora questo tipo di ricerca ed è una linea che condividiamo con L’incompresa di Asia Argento e Le Meraviglie di Alice Rohrwacher. Io stesso sono stato operatore del film per ricercare una maggiore autenticità.
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