Ritratto di Angelita Privitera
Autore Angelita Privitera :: 5 Aprile 2014

Emanuele Crialese a Lampedusa incontra Filippo Cucillo, il bambino di Respiro, e ne rimane affascinato. C’era qualcosa di sacro in quello che stava facendo

Emanuele Crialese

A Lampedusa Emanuele Crialese incontrò Filippo Cucillo, il bambino di Respiro, e ne rimase affascinato. C’era qualcosa di sacro in quello che stava facendo e come si sentiva lui dentro. Quella sera cominciò a scrivere le prime scene di Respiro che poi propose a Domenico Procacci, unico produttore con cui aveva avuto un rapporto sereno. Ma nessuno volle finanziarlo per un anno e mezzo. A New York sarebbe stato facile proporlo e avere soldi, ma in Italia no. E tornarono i problemi di soldi. L’anno peggiore quello dei suoi 30 anni: non sapeva che fare. L’attesa poteva prolungarsi anche per anni, non sapeva darsi un limite, i soldi finivano e pensò di pedinare e insistere con Procacci. Proprio in quel periodo Procacci stava per produrre Da zero a dieci di Ligabue, un film finanziato con un super budget, da cui fu presa una parte minima per produrre Respiro. Ci fu una sorta di divisione di troupe. Furono presi nella settimana della critica a Cannes, vinsero e le cose cambiarono.

Cosa è per te la creatività e dove prendi ispirazione?
Non rivedo i miei film, talmente ci sei dentro che non riesci a valutarlo. Seguo l’istinto, ho un istinto molto forte per quello che non va. Per essere creativi un po’ di leggerezza ci vuole. Per questo per scrivere vado su un’isola, sulla montagna, in campagna. È legato ad un aspetto energetico. Ci pensate a quante vite ci sono in un terreno, quanti strati? È da 10 anni che non ho la tv e questa cosa mi ha cambiato la vita. Sono meno intossicato. Noi viviamo immersi in un’atmosfera estremamente tossica per la creatività. Urla, conflitto e lagna intossicano. Le mie strategie di difesa: la natura, il movimento, leggere. Aiutano a disintossicarci. Leggere è più importante di guardare. È un esercizio di immaginazione continuo. Più mamma e papà non saranno d’accordo con quello che stai facendo più sei sulla strada giusta.

E le storie, come nascono e si sviluppano?
Ognuno racconta la storia in modo diverso. Ognuno ha il suo stile, bisogna avere il coraggio di indossarlo. La domanda più difficile è: "Perché questa storia? Perché?". 

Il metodo di lavoro, lo consideri con assoluta serietà e professionalità?
Non è tanto il risultato che conta ma il processo, un processo che mi nutre. Il mio atteggiamento nei confronti del mio lavoro, di quello che faccio deve avere qualcosa di sacro. L’importante è che sia un bel viaggio, che mi aiuti ad andare avanti. Giochiamo seriamente. Assumiamoci la responsabilità del gioco. Lavorare seriamente ma non prendermi sul serio.

Quanto è importante la relazione con i colleghi di lavoro?
Nel direttore della fotografia cerco un “comparuzzo bambino”. Per me è importante avere a disposizione un talento, qualcuno che cerca e poi anche lui trova. Ogni film è una storia d’amore diversa e voglio persone diverse. Si creano alchimie diverse. Mi unisco a personalità diverse.

Perchè scegli di fare il regista, di utilizzare le immagini? Se fossi rimasto in America quali svolte avrebbe preso la tua vita? Non saresti ritornato in Italia?
Ero un bambino disadattato. Ero con la testa tra le nuvole. Appena ho capito che questo mestiere ti faceva stare con la testa tra le nuvole ho capito che faceva per me. Anche se spesso la vita ti porta su una strada. A volte crediamo di aver scelto ma non è cosi. Del sistema americano non mi piaceva la totale mancanza di rispetto nei confronti dell’autore. Solo da una decina d’anni, con la scuola messicana, i ragazzi sono riusciti a prodursi i films. Non volevo cominciare facendo quel lavoro. Avevo delle storie da raccontare e  volevo capire se riuscivo a farlo. E lì non sarei riuscito. La mia natura mi porta a parlare in dialetto. Se in America mi avessero detto: “Tu farai film in dialetto siciliano” non ci avrei creduto. Ho imparato prima l’inglese e poi il dialetto siciliano. La lingua italiana non ha un bel suono per me. Preferisco il dialetto o scrivere in inglese. La mia grande ambizione è fare un film pieno di suoni, senza parole. 

Come è nato e si è sviluppato il tuo successo?
Quando si comincia ad avere consensi, si entra in uno strano gioco di specchi che deformano la realtà. Si sente che si è piu competitivi. A me blocca la competizione. Io mi esprimo, non voglio competere. C’è la qualità in quello che fai. Cominci a sentirti anche importante, ti senti bene. Pensi: “Sono molto meglio di quello che pensavo, di molti altri”... si entra in un loop. E attorno a te compaiono una serie di vampiri (umani) che ti riempiono di complimenti e ti dicono sempre sì. Arrivi a un punto in cui devi sedare tutto questo, altrimenti rischi di andare troppo in alto. Insieme al consenso arriva una roba che ti allontana dagli altri e da te stesso. Precipitare è inevitabile. Ci si rende conto che una volta credevi che amare tutti era la cosa più bella ma non è piu quello che vuoi. Amare ed essere amato da tutti. Io amo osservare, non essere osservato. Non voglio essere riconoscibile, riconosciuto. Mi fa paura. Voglio poter recarmi dove voglio, oppure stare in silenzio... ad un certo punto pensi che c’è qualcosa che ti è sfuggito. Ti chiedi: sono o faccio un regista? Faccio il regista che fa anche il pittore, esploratore, scrittore. Dopo due anni che faccio un film ho bisogno di disintossicarmi dal mondo del cinema. Fare altro, stare con altra gente. C’è gente che ama stare con gente che “egona”, con tanti ego. Il mio esercizio fisico è spirituale. Tutti dovrebbero giocare, tornare bambini stupidi anche. Ritornare ad una dimensione infantile. Intuire invece di dedurre. 

C’è responsabilità col pubblico?
Per essere onesti col pubblico bisogna essere onesti con se stessi. Spesso sono scelte di conformità, pensiamo di sapere ciò che pensano gli altri. La rotta invece deve essere: cosa stai dicendo di nuovo? 

Ti lasci andare alla bellezza delle immagini. Come, durante le riprese, miri alla realizzazione di queste immagini che restano impresse? 
Le immagini scollate dalla realtà sono delle visioni che mi vengono. In Respiro c'è lo scollamento totale della realtà che non c’è su Nuovomondo. Non deve essere vero, deve essere trasfigurato, è una cosa molto instintiva! Molti, spesso, cercano di coprire tutta la conversazione. Così il montaggio può essere deciso successivamente. Selezionando le parole e immagini che vogliamo inserire. Io non voglio avere la scelta dopo, ma sento così tanto il desiderio di quella scena, che poi voglio solo quella. Quando la vedo la catturo e non voglio altre opzioni. Ogni film ha una sua vita che non è predeterminata completamente da me. Inizia il respiro. Il film diventa come una creatura. Senti che inizia la vita di quel film. Questo è quello che voglio fare ma tu (film) cosa mi stai dicendo, cosa devo vedere che io non vedo? Questi sono i momenti più intensi. Qui ti accorgi che la tua concentrazione su quello che stavi facendo ha creato un’altra vita. Se mi chiamassero per James Bond non avrei questo tipo di approccio. Lo stile non è una cosa preorganizzata per me, posso avere delle suggestioni, delle idee… poi si va formando insieme anche a tutta una serie di individualità che portano informazioni, suggestioni, giuste o sbagliate. Aggiungono materia alla materia. L’approccio professionale è da una parte autoriale e dall’altra professionale: seguire la grammatica. Il suono è il respiro, il fiato. Mi diverto molto a lavorare col suono, con l’audio. Spesso quando voglio mettere musica è perchè ho un problema. L'ideale è quando la scena trova la sua musica, come una magia.

Come collabori con i diversi costumisti e quanto è importante avere una suggestione di costume?
Ci sono due fasi: una cromatica e una di sintesi. Nella prima, insieme al direttore della fotografia, scegliamo il tono cromatico che vogliamo dare.Tutta una fase in cui impostiamo un po’ la nostra fantasia cromatica con sceneggiatore, costumista e direttore della fotografia. Poi si raggiunge una sintesi, si fa una scelta e quindi si crea un’intesa sui colori. Dopo ho bisogno di mettere in scena l’attore e vedere se l’attore sente o meno quel costume. Quindi scatta la fase interazione costume-personaggio-attore. 

Nei tuoi film c'è sempre una magia. Quanto influisce il mistero nella stesura dei film?
È un mistero anche per me. C’è un momento in cui dico: se fossi un bambino come vedrei questa cosa, come la vorrei rappresentare se non la volessi dire a parole? Dentro di me qualcuno risponde. C’è una presenza che mi dà dei suggerimenti e delle risposte. Spesso dice qualcosa, a volte non dice niente. Sento che ci sono delle domande che meritano una risposta. Sento che sto vivendo un'esperienza che da qualche parte mi sta guarendo. E se guarisce me, forse, può essere condivisa anche con altri. È una ricerca di contatto con gli altri. Cerco di togliermi le parole, quella forma. Funziona in modo molto più immediato. Cerco di andare in una direzione quasi non verbale, non discorsiva. In Respiro c’è stata una ricerca drammatica: ricerca di una donna scomparsa in un'isola. In quel caso, ad esempio, per me la disperazione erano i piedi della gente con i calzini in acqua.

Opinioni sul mercato italiano
Non abbiamo una situazione molto fertile. Non c è molteplicità, ma solo un paio di case di distribuzione. Non c’è sana competizione, e purtroppo è difficile vedere dinamismo. La situazione è un po’ statica, monopolizzata. Farebbe molto bene avere degli interlocutori diversi. La situazione mi sembra molto autistica.

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