In occasione della presentazione del suo film d'esordio, Pulce non c'è, a Parma abbiamo incontrato Giuseppe Bonito, il regista con un passato trascorso da aiuto regista sui set cinematografici e di serie tv, tra cui Boris
L'esordio cinematografico di Giuseppe Bonito, Pulce non c'è, consacrato in molte manifestazioni cinematografiche, tra cui il Festival del cinema di Roma dove si è accaparrato il premio speciale della giuria nella Sezione Alice nella città, continua a far parlare di sé. Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Gaia Ranyeri, è attualmente in circolazione nelle sale d'essai italiane in circa 20 copie digitali, raccogliendo su e giù per lo stivale consensi unanimi. Pulce non c'è è un film che parla di autismo, di adolescenza, di istituzioni e di buon senso, che pone la lente d'ingrandimento su due mondi complicati e delicati riuscendo a trattarli con rispetto e ponendo un'attenzione e una riflessione mai banali.
Quanto tempo ci è voluto per passare dall’idea fino alla realizzazione del film? Volevo sapere di più sull’iter produttivo del tuo lavoro.
Il tempo che ho impiegato a realizzare il film è stato relativamente poco, nel senso che ci ho messo quello che di norma serve per organizzare un lungometraggio. Lo abbiamo fatto con uno spirito da indipendenti, per il resto c’è stato un interesse della Cassa di risparmio di Torino che ha come mission quella di finanziare la cultura a Torino e in Piemonte. La storia del film è davvero accaduta a Torino, il romanzo da cui prendo spunto è scritto da una torinese e il libro è edito da Einaudi. C’erano tutti i presupposti, insomma, per avere il finanziamento, poi, piano piano, ne sono arrivati anche altri come quello della Film Commission e del Ministero.
Parliamo della regia del film. Avevi già tutto in mente, oppure hai lasciato spazio all’improvvisazione? Te lo chiedo perché hai usato molto la camera a mano…
È un misto di cose: di sicuro la cosa di cui ho fatto meno uso è stata quello di premeditare ogni mossa dal punto di vista registico. A me piace molto che le cose accadano mentre faccio il film, quindi preparo la scena nella misura in cui quando giro le cose accadano. Diciamo che nel 90% dei casi la scena che si vede non è premeditata, ma è frutto di come ho deciso di girarla al momento. Non ho mai subordinato il cosa filmavo a come lo filmavo. In realtà non si tratta di vera e propria improvvisazione, anche per quel che concerne le due piccole attrici che hanno lavorato senza copione. Con loro studiavamo la scena prima di girarla, dunque sapevano bene cosa fare. Di fatto ci siamo sempre attenuti alla traccia del copione, ma dando sempre la possibilità che accadesse qualcosa al momento. Se vogliamo chiamarla improvvisazione, va bene, diciamo che non mi sono limitato ad eseguire il copione e sono sempre rimasto aperto a quello che potesse succedere al momento.
Perché hai scelto di girare in pellicola? C’è una una motivazione tecnica dietro questa scelta? Cercavi una particolare resa visiva ad esempio?
La premessa è che io non sono un nostalgico, ma l'ho scelta con un piglio romantico, anche se non ne sentirò la mancanza. Quando abbiamo iniziato a fare il film era ancora disponibile fare le post-produzioni in pellicola, quindi semplicemente ho ritenuto migliore questo supporto. Su questa scelta ricade anche una constatazione: se non avessi girato il film in pellicola in quella occasione, non avrei mai più potuto farlo in futuro. Insomma ho scelto la pellicola perché c’era ancora la possibilità di poterla scegliere, anche perché è un mezzo più concreto e bisogna essere anche parchi ad usarla perché costa. Questo mi ha costretto ad una attenzione che magari con il digitale non avrei avuto perché nel secondo caso i costi sono abbattuti.
In passato hai lavorato anche come aiuto regista. All’epoca avevi avuto modo di lavorare con la pellicola?
Io ho fatto l’aiuto regista per 15 anni, quindi ho iniziato a lavorare nel cinema quando si girava esclusivamente in pellicola. Poi negli ultimi anni da aiuto regista ho avuto modo di approcciarmi anche al digitale, le Red e le nuove tecnologie in generale.
Con che macchine hai girato il film?
Ho utilizzato delle Arriflex Super35mm, con pellicola Kodak e poi ho usato alcune ottiche, dalle più strette, fino a ottiche grandangolari e dei tele. Tendenzialmente ad un certo punto del film ho cominciato a usare ottiche più lunghe, in particolare l’85, perché la storia stava entrando nel vivo e volevo stare vicino ai personaggi, però senza avvicinare la macchina da presa a loro.
In quante copie è uscito il tuo film?
Attualmente il film è in giro in una ventina di schermi circa. Ovviamente adesso con il DCP (digital cinema package) parlare di copie è sbagliato, perché si tratta di un file che le sale si girano.
Visto che hai lavorato in molti campi, dalle serie tv, agli spot ai videoclip, qual è l’ambito che ti ha insegnato di più? Qual è stato più utile per girare il film?
Per girare il film la cosa più importante è stata la mia lunga esperienza come aiuto regista nel cinema. Però paradossalmente, per me è stato utile lavorare molto con le fiction. Diciamo che mi è stato utile per negazione, nel senso che ho imparato anche come non lavorare, soprattutto con gli attori. Il criterio base della fiction generalista che vedi sulla Rai o su Canale 5 è che lo spettatore possa alzarsi, andare in bagno e cambiare canale. Quindi già i copioni sono a volte quasi ridicoli, perché i poveri attori si trovare a recitare battute che sono una sorta di riassunto di quello che è successo. C’è questo continuo ribadire ossessivo, perché nella migliore delle ipotesi si ha a che fare con uno spettatore distratto, nella peggiore uno che fa zapping su più canali. È chiaro che se parliamo di altre fiction, come Boris per la Fox a cui ho lavorato, già parliamo di uno spettatore diverso, molto più vicino allo spettatore cinematografico. Questo modo di fare la fiction per il pubblico generalista genera poi effetti comici involontari che nella serie Boris abbiamo ampiamente raccontato.
Ti aspettavi tutti questi riconoscimenti per il tuo film?
No, però si fa sempre in modo che questo avvenga. Non li aspettavo, ma intanto li cercavo.
Perché secondo te un film di qualità sia nel contenuto che nella forma come il tuo, trova problemi di distribuzione nonostante grandi riconoscimenti come quello al Festival del cinema di Roma?
La mia idea è che è per la maggior parte dei casi sia una questione di soldi. Un film come questo per uscire sugli schermi ha bisogno anche di determinate garanzie. Queste garanzie economiche non ci sono. Un film come Pulce non c'è per i distributori diventa una scommessa che non si sentono di portare avanti. Nel nostro caso poi non avendo avuto un apporto con Rai Cinema che per questo tipo di film rappresenta la garanzia per i distributori, abbiamo proposto il film ai distributori nudo e questo non ha aiutato.
Cosa ti senti dire ai ragazzi che vogliono lavorare nel mondo del cinema oggi?
A meno che non siano figli di registi, attori e produttori o ricchi, il consiglio è quello di armarsi di una grande tenacia, perché ne avrà davvero bisogno. Nonostante tutto bisogna seguire il proprio istinto, mettendo al primo posto quello che da spettatore ti piace. Un consiglio pratico è quello di muoversi da dove si sta, la mobilità è importante, sia mentale che fisica.
C’è un modo per sapere quando e dove il film verrà proiettato nel prossimo futuro?
Sì, ne diamo comunicazione sulla pagina ufficiale Facebook di Pulce non c'è ogni giovedì.
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