Dramma, ironia e denuncia sociale fra le righe si mischiano nella terza opera del regista di In Bruges in cui una madre rabbiosa e tre manifesti pubblicitari provocatori getteranno una piccola cittadina americana di periferia nel caos
Si dice che la pubblicità vecchio stile sia morta. Nessuno più guarda i cartelloni pubblicitari, a meno che non ci sia il giusto messaggio, meglio se scioccante, a catturare l’attenzione dei passanti. Nulla di più semplice per Mildred Hayes, una madre piena di odio e rabbia che decide di noleggiare tre grandi cartelloni stradali per porre alla polizia e alla comunità una domanda: perché non siano stati ancora trovati gli assassini di sua figlia, stuprata mentre moriva, così cita una delle tre affissioni.
Il messaggio provocatorio attacca in prima persona il capo della polizia locale William Willoughby, che a quanto pare non è riuscito a dedicare il tempo necessario alle indagini, ma permette ai suoi agenti di fermare ragazzini di colore che disturbano la quiete andando in skateboard. Un interrogativo che getta la cittadina nel caos, generando una lotta tra la madre e la polizia locale, oltre ad una serie di eventi che lascerà scoprire man mano la vera natura dei personaggi sullo schermo. Una trama che porta lo spettatore ad interrogarsi su una possibilità forse mai presa in considerazione: può l’essere umano nella stessa vita essere nelle posizioni di vittima e carnefice?
Con questa sceneggiatura originale che si sposta tra scenari da western, thriller e dark comedy, Martin McDonagh mette sotto lente d’ingrandimento l’intricata natura dell’essere umano e l’ambiguità dei dorati Stati Uniti d’America, paese avvolto da una storia fatta di pregiudizio e chiusura verso l’altro. Il regista irlandese cuce finemente una storia che si muove fra drammatico e ironico, presentando agli spettatori personaggi che sicuramente diverranno memorabili a partire dalla protagonista interpretata dalla sempre brava Frances McDormand qui nei panni di una madre distrutta dal dolore pronta a fare di tutto per farsi giustizia e trovare il colpevole che le ha portato via la figlia.
Una donna tutta d’un pezzo che al pari di un eroe western spiazza tutti con le sue scelte - dapprima i cartelloni e in seguito il rifiuto di lasciar perdere questa via polemica anche quando viene a conoscenza del fatto che il capo della polizia ha un tumore al pancreas -, con le sue frasi taglienti e con le sue azioni a volte riprovevoli. Un personaggio complicato magistralmente interpretato dal Premio Oscar come migliore attrice per Fargo (1997), che predica bene ma razzola anche un po’ male, perché di fronte ai torti della vita si è disposti addirittura a macchiarsi la coscienza per ritrovare un po’ di serenità interiore.
In questa vicenda ripresa con i toni freddi e satirici della commedia grottesca ci sono anche due agenti di polizia. William Willoughby il capo del dipartimento interpretato da un sempre verde Woody Harrelson, forse un po’ superficiale sul lavoro, ma moralmente integro che riesce ad andare a fondo e leggere le motivazioni nascoste che muovono le azioni non condivisibili dei personaggi in atto. Come le scelte e le posizioni del suo collega Dixon - interpretato da un divertentissimo Sam Rockwell - un immaturo, violento e mammone intrappolato nel dolore della scomparsa del padre trasformato in rabbia e pregiudizio verso l’altro.
Three billboards outside Ebbing, Missouri è un film appassionante ma soprattutto intelligente, che riesce a fare dell’intrattenimento anche denuncia sociale velata, dove al centro di tutto c’è l’essere umano, creatura fragile dalle mille sfaccettature, che a volte può essere nel giusto e altre, inaspettatamente, nel torto. Il film uscirà in sala l’11 gennaio distribuito dalla 20th Century Fox.
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