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Autore Redazione :: 24 Febbraio 2015

Cinquanta sfumature di grigio: il successo al botteghino deriva soprattutto dal fatto che piace alle donne. Ecco perché.

Cinquanta sfumature di grigio

Il film Cinquanta sfumature di grigio può essere considerato la versione cinematografica di un pornoharmony, colorato da abbondanti sprazzi di scene di sesso. Un film che alle donne, o almeno a numerosissime donne, piace molto. Al punto che non si può evitare di chiedersi quali siano le ragioni che portano il cosiddetto gentil sesso a trovare così tanti spunti d'interesse o di piacevolezza in questa visione.

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La donna è un essere provvisto della capacità di provare un intenso piacere erotico e passionale. Il successo di quest’opera si può spiegare in modo semplice: una spettatrice può sentirsi legittimata nella fruzione di una pornografia rosa grazie allo sviluppo di una storia d’amore che si sviluppa durante il film e che presenta un certo livello di coinvolgimento emotivo a tinte torbide.

Un tempo la donna poteva solo rivolgersi alla sua fantasia come fonte di materiale pornografico, le più tecnologizzate consultando siti porno ad alto indice di materiale di gusto puramente maschile: cinque minuti di filmato della scena clou con il solo atto sessuale. Di fronte a siffatto materiale in genere la donna non è soddisfatta e continua a porsi domande sulla storia che potrebbe celarsi dietro quella posizione dell’indiano appeso o quel mènage à trois o quell’ammucchiata da a chi piglio piglio: chi è lui? Come la donna lo ha conosciuto? Qual è il suo passato?

Il cervello della donna non si ferma mai, il succo del discorso non le piace: non è mica una donnaccia! Vuole la storia: un corredo di azioni con tanto di conoscenza, corteggiamento/gioco e poi forse se lui piacerà alla santa donna, questa gli si concederà.

[Leggi anche: Le scene più scomode, difficili e complicate di Cinquanta sfumature di grigio]

L’avvento di Cinquanta sfumature di grigio prima come libro e poi come film nelle sale ha permesso alle donne, dato il successo riscosso dal film, di fruire di un prodotto sessuale, di una fantasia erotica (che ad alcune può piacere, ad altre no) legittimata a livello pubblico. Se prima certe riviste erano rubate ai fratelli o ai cugini e guardate di nascosto dalla mamma, oggi a vedere Cinquanta sfumature di grigio ci si va in branco: un branco fatto da donne che coalizzate si muovono tenendosi a braccetto l’una con l’altra, cantando goliardicamente una vecchia sporca canzonetta da bar, fino a giungere alle porte del cinema per godere di un’intera fantasia al femminile dipanata in 100 minuti.

Il film tratta di un sesso audace: sono poche le donne che fantasticano immaginando di fare l’amore nella posizione del missionario col proprio partner/fidanzato/marito. Quindi il sesso estremo è elemento fondamentale di una fantasia sessuale. Lo sconosciuto, meglio se miliardario, è altrettanto importante.

La donna desidera una storia d’amore, una fiaba con scene di sesso giustificate: da un amore o da un tentativo di salvare l’amato; contestualizzate con un dove, un quando e un come ben preciso, con le regole estremizzate di un corteggiamento, sancite nel caso di Cinquanta sfumature di grigio da un contratto di riservatezza stipulato dai due protagonisti, Anastasia Steele e Christian Grey. 

Le donne a cui questo film piace sono inguaribili sognatrici: ricordano con un improvviso rossore delle gote la storia della bisnonna rapita dal futuro marito perché pazzo di lei; ciò che sognano è un tuffo in un mare in tempesta colmo di emozioni forti per seguire l’uomo dei propri sogni che completi, colmi, fornisca tutto ciò di cui si ha bisogno.

A questo proposito ricordiamo la scena del risveglio di Ana, dopo la notte di bagordi al pub in cui ha alzato un po’ il gomito: non appena rinvenuta, la protagonista del film trova sul comodino generi di conforto post sbornia, indicati da due cartelli con su scritto ‘eat me’ e ‘drink me’. Questa scena trasforma Ana in una moderna Alice nel paese delle meraviglie, paese rappresentato dalla sala dei giochi, luogo in cui la guiderà il Bianconiglio nei panni del principe grigio, Christian, in tutta la sua umiliante crudezza.

È difficile odiare un uomo come Christian Grey: egli è ben lontano dalla figura del sadico Holger Palmgren, il tutore di Lisbeth Salander nel film Uomini che odiano le donne. Innanzitutto il ricco manager è monogamo: non ci sono altre donne nella sua vita, a parte Ana.

Inoltre profondamente ha la personalità di un cucciolo e nel gioco del ribaltamento allo specchio dell’immagine che rimanda ogni relazione, rimbalza la domanda provocatoria: non è che un uomo così maniaco del controllo, in realtà fragile, alla fine sia lui l’oggetto del controllo e non il soggetto come crede? In questo caso ecco che gli istinti materni della donna vengono stuzzicati.

Un altro aspetto che può stimolare la fantasia femminile è ‘il gioco del nì’: quella fase in cui ancora la donna non ha accettato apertamente la persona che la corteggia come suo uomo; continua a testarlo, a giocarci, a condurre lei paradossalmente il gioco, facendo intuire a lui che forse ci sarà un sì, ma potrebbe anche esserci un no. Da questa punto di vista la donna risulta ancora una volta vincente e padrona della situazione, più di quanto possa sembrare a un primo sguardo.

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