Dalla moda al teatro, alla televisione, al cinema, Alissa Huzar, attrice purosangue, è la dimostrazione che non ci sono barriere quando si ha voglia di recitare e quando recitare è un’arte necessaria per l’esistenza
Dalla moda al teatro, alla televisione, al cinema, Alissa Huzar, attrice purosangue, è la dimostrazione che non ci sono barriere quando si ha voglia di recitare e quando recitare è un’arte necessaria per l’esistenza. In questa intervista Alissa comunica l’incontrovertibile verità: l’arte è innanzi tutto vita!
Come è iniziata la tua carriera?
Sono nata in Ucraina e ho lasciato il mio paese a 16 anni. Sono cresciuta in giro per il mondo. La mia storia inizia con la moda, ho girato tanti paesi diversi come modella. È stato estremamente creativo per me, mi ha insegnato tantissimo dal punto di vista umano, laddove incontravo culture diverse, mettendomi sempre in discussione: tanto che nel mio lavoro alla fine credo che gli studi servono sempre, però è importante rielaborare le esperienze della propria vita, e queste esperienze risultano fondamentali per la propria espressione. È dalla vita che riprendiamo sentimenti positivi e negativi, solo perché si sono realmente vissuti.
Come studi invece hai iniziato a teatro…
Ho fatto la scuola di recitazione a San Pietroburgo e mi sono accorta di quanto sia stata importante la mia esperienza nella moda. Poi sono andata a Milano, ma ho vissuto in molte capitali d’Europa, fuori dall’Europa a Telaviv e infine a Roma.
In Italia sei arrivata presto e sei rimasta…
Ho sempre avuto la casa a Milano come base, poi andavo mesi fuori: a Londra, Parigi, Atene. Per me Milano era la mia casa, tranne quando sono andata in Israele per un anno. Di ritorno a Roma ho deciso di dedicarmi completamente alla recitazione.
Hai lavorato tantissimo con Danilo Gattai, che ci racconti di questa esperienza?
È una persona estremamente ricca come insegnante e a livello umano, estremamente preparata, lui viene dalla Scuola d’Arte drammatica Silvio D’Amico. Quando l’ho incontrato ho capito che forse avevo già perso molto tempo, perché dentro di me era avvenuta una rivoluzione, quando mi sono innamorata del lavoro che si fa quando si interpreta un ruolo.
Insieme a lui hai fatto tantissimi spettacoli...
Nel frattempo ho anche ripreso a fare i casting per il cinema, ed ho iniziato con Lamberto Bava in The torturer. Così ho iniziato a fare piccole parti. Per Torturer era un piccolo ruolo drammatico perché il personaggio che interpreto è una donna catturata in un teatro e torturata: un horror davvero efficace, del resto lui è un maestro ed estremamente geniale nelle trovate sceniche. In questo caso sono riuscita con poco a esprimere bene l’intensità di quel personaggio.
Il passaggio dal teatro al cinema non ti ha creato difficoltà nell’interpretazione?
In teatro ero piuttosto libera di spingere sull’interpretazione rendendola il più possibile espressiva, mentre al cinema mi sono dovuta adattare e limitare quell’emotività che tiravo fuori a teatro ed invece nel cinema ho dovuto un po’ frenare. Adesso mi piace ed amo entrambi, sia cinema che teatro. Il teatro ha questa adrenalina di stare sul palco e dell’interazione con il pubblico, c’è un’energia pazzesca. Invece sul set sei come in una famiglia con cui condividi un piccolo bambino chiamato arte. Giri poco tempo, ma dietro ci sono tanti rapporti umani.
L’ultimo film che hai fatto è "Vite in gioco" di Toni Paganelli del 2013?
Sì, è un film indipendente, ci vuole sempre molto coraggio per fare un prodotto indipendente perché là dove ci sono pochi fondi è tutto ristretto, ovviamente non è la stessa cosa di lavorare con grandi produzioni. Ma ciononostante, il coraggio non mi è mai mancato. È stata un’esperienza bellissima, perché ho interpretato questa spia che lavora per il governo americano, sposando un delinquente internazionale. È stato molto interessante dal punto di vista dell’interpretazione, perché è un personaggio dalla doppia faccia. Il film sta ancora girando e continua la sua promozione. È già stato quest’estate alla rassegna dell’isola Tiberina, “Un’isola del cinema” a Roma, a ottobre a Torino, mentre sempre a Roma sarà ospitato al cinema L’Aquila.
Tanto per cambiare, qualcuno parlando di te in questo film ti ha paragonato a Claudia Schiffer, almeno per la somiglianza fisica…
Ma sì, questo succedeva già ai tempi in cui ero modella. Certo non mi dispiace essere paragonata a lei, ma preferisco essere paragonata più ad un’attrice brava che bella. Ma dopo anni che lavori nella moda capisci benissimo che la bellezza comunque deve venir fuori dalla capacità espressiva della fotografia.
Sicuramente quello di considerare male le modelle nelle opere cinematografiche è un luogo comune trito e ritrito…
È sicuramente anche un cliché dell’Italia, perché all’estero non è così. Per esempio in Francia Letitia Casta non viene considerata sempre e solo una modella. Io poi non rinnego la moda, per quello che mi ha dato, come professionalità, per lavorare nel cinema e nel teatro. Lo ripeto, è importante per me il background umano, il vissuto. Senza questo non riuscirai mai ad avere alcuna espressività, perché non hai fatto abbastanza esperienze di vita. Per esprimersi bisogna rischiare, andare nelle profondità di se stessi, superarsi, la vita è il miglior corso di tutti.
Un altro cambiamento avvenuto in questi anni è che nella moda fino agli anni novanta si coglieva una personalità forte nelle modelle e questo era estremamente importante. Poi dopo le foto sono state tutte ritoccate con i programmi più avanzati e questo bastava. Il risultato è che tutte le foto sembrano uguali.
Cosa ci racconti del lavoro nella fiction “Amore Criminale” di Maurizio Iannelli e Matilde D’Errico?
Mi è piaciuta molto come esperienza di lavoro. Abbiamo lavorato solo sull’improvvisazione con un copione in prosa in cui mancavano completamente le battute. È stato un lavoro davvero autentico. Inoltre è stata anche importante, perché sono onorata dalla possibilità di fare qualcosa per sollevare l’attenzione sul problema della diffusa violenza sulle donne.
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