Un altro grande protagonista della manifestazione che sta animando in questi giorni la Penisola Sorrentina è stato il regista televisivo Alexis Sweet, che è entrato nel vivo della polemica con la tv generalista
Da quando nel 2003 un po’ casualmente conobbe il produttore Pietro Valsecchi, non si è più fermato. Da allora, il regista di origine inglese Alexis Sweet ha diretto le tre stagioni di RIS – Delitti Imperfetti, l’acclamatissima Il Capo dei Capi, Intelligence, Il Clan dei Camorristi e, ultimamente, Il Tredicesimo Apostolo.
Qual è stato il suo percorso professionale prima di incontrare il produttore Pietro Valsecchi?
Prima di conoscere Valsecchi facevo pubblicità e prima ancora sono stato aiuto regista di grandissimi nomi del cinema mondiale come Spike Lee e Steven Spielberg. Vengo dal cinema inglese e ho conosciuto Pietro nel 2003 grazie al mio amico sceneggiatore Stefano Bises, che ha coordinato lo script Gomorra. Io ero impegnato nel dirigere documentari naturalisti sull’Africa ed ero molto lontano dal mondo della televisione italiana. Poi ci conoscemmo e decise di affidarmi la regia del primo RIS – Delitti Imperfetti.
In questi ultimi anni è in atto una rivoluzione televisiva. Le persone vanno sempre di meno al cinema e la televisione sembra tornata ad essere la regina dell’intrattenimento. Ovviamente questo avviene in modalità diverse in Italia e all’estero...
In America erano fondamentalmente ignoranti, non sapevano neanche l'Italia dove fosse sulla cartina geografica, poi i produttori hanno pensato che fosse arrivato il momento di educare il pubblico e l’hanno fatto dando vita ad una televisione più selettiva. In Italia manca un po’ il coraggio. I produttori hanno un target che va dai 12 ai 70 anni e credo che questa sia un’idea di fruizione del prodotto completamente sbagliata. Il mio ultimo sceneggiato Il tredicesimo apostolo all’estero avrebbe avuto molta più risonanza mentre in Italia, messo in mano alla tv generalista, è passato quasi inosservato. Bisognerebbe aumentare le proprie aspettative.
Da un punto di vista qualitativo, come può la tv generalista competere con prodotti di livello come le serie di Stefano Sollima su SKY?
Stefano Sollima è un apripista. Il suo vantaggio è che Sky non è interessata ai numeri e dunque produce delle serie mirate ad un pubblico specifico proprio come avviene in America. Avere libertà in questo senso aiuta molto. Quando girai Il Clan dei Camorristi o Il Capo dei Capi ricordo di non avere avuto completa libertà ma di aver fatto i conti con il linguaggio. Su SKY, Gomorra va in onda in napoletano con i sottotitoli, senza dover sottostare alla lobby ipocrita della tv generalista. Mi piacerebbe che la RAI e Canale 5 potessero aprire un canale dedicato alla fiction per un pubblico più adulto e dove gli spettatori potessero trovare più scelta.
So che aveva in cantiere un progetto cinematografico.
Sì, sto ancora cercando di realizzarlo con l’aiuto di uno degli sceneggiatori di Gomorra, Leonardo Fasoli. Ma anche nel cinema, se non vuoi fare una commedia diventa tutto più difficile. Nel frattempo continuo a dedicarmi alla fiction.
Domanda d’obbligo. Cosa ne pensa del Social World Film Festival?
Sono già stato qui lo scorso anno. È un festival che mi piace tanto, organizzato molto bene e credo che abbia tutte le carte in regola per diventare una manifestazione di rilievo nazionale.
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