Ancora un maledetto lutto, di quelli che spezzano il cuore: a lasciarci, stavolta, è l'autore polacco Andrzej Zulawski, malato di cancro. Un regista che abbiamo vissuto fino alla follia, noi che siamo figli del nevromanticismo più tragico
Ancora un maledetto lutto, di quelli che spezzano il cuore: a lasciarci, stavolta, è l'autore polacco Andrzej Zulawski, malato di cancro. Un regista che, da queste parti, abbiamo vissuto fino alla follia, noi che siamo figli del nevromanticismo più tragico ed evocativo, del cinema più sfuggente, talvolta in acido, ma sempre innamorato.
Non aveva diretto molti film (13 i lungometraggi che contiamo ad oggi, realizzati nell'arco di quattro decenni), ma ognuno di essi ha rappresentato un'imprescindibile tappa in cui tuffarci morendo e resuscitando, in perenne apnea nello stupore e nella meraviglia: il bello bellissimo di Zulawski è che, davvero, non sapevi mai che cosa aspettarti dai suoi lavori, quali colpi avesse preparato, con quale meraviglia estetica ti avrebbe rapito il fiato. E a ogni singola occasione, non ha mai fallito di darci ciò che volevamo, o meglio, quello che non sapevamo di volere.
Il viaggio surreale di Diabel, gli stacchi strappabudella di La terza parte della notte, i cuori spezzati di L'importante è amare, quelli confusi di Le mie notti sono più belle dei vostri giorni, senza ovviamente dimenticarsi il delirio horror melò di Possession. Come se fossimo tutte puttane, o meglio, puttane aliene e alienate, in cerca di un bagliore esistenziale o una lacrima in cui nascondersi: il rifugio l'abbiamo trovato proprio in Zulawski, entità quasi astratta e caraxiana, un nome che è (era?) pulpito, sangue.
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Il suo ultimo regalo che non sapevamo ancora esser d'addio è Cosmos, presentato a Locarno 2015, dove tra l'altro ha vinto il premio come Miglior Regia. Noi non l'abbiamo ancora visto (quando diavolo arriverà il dvd?), ma ora la necessità è decisamente salita al maggior grado di ebollizione. Au revoir monsieur Zulawski, cantore dei nostri dolori più malinconici.
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