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Autore Rosa Maiuccaro :: 28 Luglio 2014

Ospite al Giffoni Film Festival, il regista esordiente di "Smetto Quando Voglio", Sydney Sibilia, ha fatto il punto sulla situazione del cinema indipendente americano e sul suo film, in un’intervista rilasciata al fianco dell'amico Paolo Calabresi

Sydney Sibilia al Giffoni Film Festival

Pochi esordi sono stati così promettenti negli ultimi anni come Smetto Quando Voglio di Sydney Sibilia. Il giovane regista salernitano è riuscito a raccontare la realtà contemporanea con un'ironia e un cinismo propri del cinema indipendente americano. Al Giffoni Film Festival è venuto accompagnato dal suo amico nonché protagonista del film, Paolo Calabresi, e ha rimbrottato scherzosamente l’altro amico e collega Edoardo Leo, che ha dato forfait al festival a poche ore dall’evento. "A' Edoà ma che si fà così?" (ride, n.d.r.). Dal prossimo novembre andrà poi in onda su Rai2 la sitcom Zio Gianni, diretta da Sibilia e Daniele Grassetti, di cui sarà protagonista Calabresi nei panni di un uomo separato e disoccupato, costretto a dividere il suo appartemento con degli studenti universitari. Mentre era intento a gustare un leccalecca, abbiamo ragionato con Sydney Sibilia sul suo film, il cinema indipendente americano e i suoi particolari riferimenti.

A Taormina Valeria Solarino ci ha confessato che lei ed Edoardo Leo erano spiazzati dai tuoi riferimenti alle serie americane. Questo ha rappresentato un elemento di difficoltà?
Ho cercato di cambiare anche i riferimenti pur di andargli incontro. È vero forse che io facevo riferimento ad un cinema più giovane che loro facevano fatica a seguire però poi un punto d’incontro l’abbiamo trovato.

Gli attori di Gomorra, presenti qui al Festival, hanno sottolineato come in Italia ancora si tenda a sottolineare la differenza tra gli eroi positivi e quelli negativi. Sei d’accordo?
Esistono gli eroi sfumati. Dopotutto gli eroi vengono da una tradizione americana di supereroi, che sono anch’essi più vulnerabili oggi. Superman per tanti anni non ha avuto più tanto successo perché era troppo perfetto. Il bello è vedere un supereroe che abbia il nemico dentro di sé, tipo Dottor House.

È appena uscito il programma della Mostra del Cinema di Venezia, ti piacerebbe partecipare con un film in concorso o ti spaventa il cosiddetto accanimento verso il cinema italiano?
A Venezia ho già presentato il corto noir Niente orchidee come sceneggiatore. Era di mattina e sul red carpet non c’era neanche un fotografo. La cosa che mi rese più felice era il barman a nostra disposizione. A parte gli scherzi mi sono molto divertito. Io più che per i festival, sono per la sala. Però sarebbe un piacere!

In America, specialmente nell’ambito della commedia, gli sceneggiatori si uniscono per creare dei progetti. Parlo di Seth Rogen, James Franco, Judd Apatow o anche il team Ben Stiller. Fra quelli bravi come te, in Italia si può ottenere qualcosa del genere?
Speriamo di sì. Io sono fan di tutti gli attori che hai nominato. In America si fanno molti più film quindi è anche più facile incrociarsi. Loro però fanno un cinema indipendente e nel bene o nel male questo è molto evidente. Basti pensare che in un loro film muore Rihanna per capire come sono folli. Con i The Pills la mia collaborazione è nata per caso, ho visto dei loro video e ho amato la loro spontaneità. Poi ho capito che erano anche geniali e così abbiamo continuato a lavorare insieme in maniera assidua.

A quali registi ti ispiri maggiormente?
Non ho registi di riferimento, ho opere di riferimento. Penso si dia troppa importanza ai registi, nonostante io faccia il regista. Mi piacciono più i film di chi li ha fatti.

Hai mai avuto paura che Smetto quando voglio fosse compreso più all’interno del raccordo anulare che fuori?
Sì, molto. Era una paura fondata. Comunque non avrei disdegnato l’attenzione di quella fetta di pubblico. Da Roma in giù il film è stato accolto subito molto bene. Da Roma in su è cominciato a montare dalla seconda o terza settimana, il che è un po’ rischioso perché non sempre i cinema mantengono i film in sala così a lungo se non vanno bene. Siamo stati fortunati.

Che cosa ne pensano i ricercatori del film, visto che sono loro i veri protagonisti?
Non c’è giorno in cui non riceva una lettera di un ricercatore che mi racconta la sua storia, ben più struggente di quelle raccontate nel film. Non fanno che invitarmi nelle università e molto spesso sono costretto a declinare gli inviti. Sono andato solo una volta con dei professori millenari che mi hanno spiegato dei progetti scientifici di cui non ho capito nulla. Non volevo diventare il portavoce dei ricercatori ma qualcuno mi ha affibbiato questa etichetta.

Hai tagliato qualche scena del tuo film che metteva in risalto qualcuno degli attori?
Ho sofferto moltissimo durante la fase del montaggio. Non ho tagliato nessuna scena girata e questo ha dato anche molta più ricchezza al film. Ho tagliato delle scene in sceneggiatura: una scena molto carina quando viene arrestato Fresi che lo vedeva in carcere insieme a due contadini calabresi arrestati per occultamento di cadavere. L’ho tagliata per motivi di tempi tra la seconda e la terza stesura. C’era materiale da sviluppare per un bel po’ di tempo.

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