Tempo di buone notizie allo Shanghai International Film Festival: più di 115 milioni di euro fino al 2018 alle produzioni cinesi per il sostegno produttivo e l'uso delle tecnologie digitali
All'interno dei panel organizzati dallo Shanghai International Film Festival si è discusso dell'importanza per la cinematografia cinese di potenziare la sua forza produttiva e distributiva. Ecco che in seno a questa volontà, il Governo cinese ha annunciato una iniezione di denaro sonante oltre 115.000.000 di Euro per i prossimi cinque anni, da dedicarsi al sostegno produttivo. Questo finanziamento è fornito dal Ministero delle Finanze e altri enti e si affianca a quello già previsto dal Settore Cultura che invece avrà come scopo quello di sollecitare l'uso delle tecnologie. Inoltre, si è strutturato un sistema di abbattimento dei costi legato alle tasse, da un po' atteso in Cina: un sistema che punta a favorire la distribuzione nei teatri più decentrati e il riconoscimento del copyright.
Eppure, il trend di sviluppo del cinemabiz cinese non sembrava disperasse per questo film fund, sebbene sia naturalmente il benvenuto: la verità infatti è che la Cina ha avuto un incremento di schermi tra il 2010 e il marzo di quest'anno di oltre diecimila unità, una impennata vertiginosa se paragonata i trend di chiusura dell'Italia. Si è calcolato una media di crescita di 14 cinema al giorno.
Ci si domanda ora, quale potrebbe essere mai il risultato di questa nuova disponibilità finanziaria: d'altro canto, le maglie della censura non sembrano essersi allentate e la scure castigatrice continua ad abbattersi sulle produzioni locali creando una voragine produttiva e distributiva tra i film mainstream, o che incontrano il consenso del Governo, e quelli underground, che viaggiano in sordina o che parlano del proibito.
Il gap si divarica non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista narrativo, con una conseguente omologazione della parte visibile dell'iceberg cinematografico cinese, ed una migliore varietà, creatività e originalità nel sottobosco indipendente. Sebbene si assista anche ad una velata mobilitazione delle star stesse che richiedono un'apertura ai vertici, ancora questa opportunità non si è vista concretizzarsi, come dimostra la recente esperienza de Il tocco del peccato (Jia Zhangke): niente visto di censura, ma un premio a Cannes.
La causa scatenante di questo investimento è il fatto che la Grande Cina si sia intestardita nella competizione contro la Grande Hollywood, a cui ancora guarda con invidia. Tuttavia, c'è una certa “miopia” nell'affrontare la situazione: il primo sfidante di questa corsa è nientepopodimeno che la Cina stessa e il suo apparato censorio riduttivo. Se continuerà a mancare il sostegno alla produzione locale, a quella qualità narrativa e creativa veicolata dai reietti della settima arte; se l'accesso a quelle circa 20.000 sale continuerà ad essere esclusivo delle fanfare dei blockbusters, questo business non evolverà mai al punto da poter sostenere lo sprint finale nella corsa contro il gigante americano. Oltre quelle cifre a tre zeri, si attende altro, quindi.
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