Così parlò De Crescenzo: storia del divulgatore gaudente
Recensione di Così parlò De Crescenzo, opera prima di Antonio Napoli: storia del primo divulgatore gaudente
Chi è Luciano De Crescenzo? Quanto è conosciuto oggi, alla fine del 2017 dalle nuove generazioni? In effetti, è la prima cosa che ci chiediamo di fronte a questo documentario omaggio a uno dei personaggi più emblematici delle trasformazioni culturali in corso dalla fine degli anni ottanta fino al Duemila, perché dopo molto è cambiato.
Fa specie vedere Luciano De Crescenzo, che in qualche modo doveva amare anche la tecnologia, ormai anziano, continuare ad utilizzare un pc visibilmente datato, che forse nessuno più usa. Lui, probabilmente, lo utilizza con il programma basico di videoscrittura "Write" e di sicuro non ci fa altro oltre a battere con visibile difficoltà sui tasti con un solo dito!
De Crescenzo è un prodotto di quegli anni di televisione incalzante sotto la spinta dei nuovi format che occupavano i palinsesti, a caccia di fenomeni e personaggi.
Il "Bontà loro" di Maurizio Costanzo altro non era che l'anticamera di quel circo mediatico che andava verso l'enfasi dell'entertainment. Già Renzo Arbore aveva capito tutto e con "Quelli della notte", che in verità si vede solo alla fine del documentario e poi "Indietro tutta" parodiava i programmi televisivi e i presentatori seri, per approdare ad un'altra era/idea di show televisivo.
In questo senso gli anni ottanta hanno rappresentato l'ultima libertà possibile per non diventare più o meno consapevolmente fenomeni da baraccone. Del resto anche il serissimo Vittorio Sgarbi, almeno per la professione di critico d'arte, diventava altro, per volare verso altre idee di show televisivo. E con lui Roberto D'Agostino che sposava del tutto il cafonal e il trash che avrebbe vinto su tutto nella neotelevisione per poi fondare la nota rivista di gossip Dagospia.
Tra tutti i vari personaggi che in quegli anni circondavano Renzo Arbore c'erano anche Luciano De Crescenzo e Marisa Laurito, quest'ultima presente nel documentario come testimonianza diretta.
Mentre gli altri testimoni sono amici più stretti e più o meno mai passati alla ribalta (c'è anche il sociologo Domenico De Masi) oppure la stessa Isabella Rossellini, sua giovane amante e rimasta amica e Carlo Pedersoli ovvero Bud Spencer, suo compagno alle elementari.
Luciano De Crescenzo in quegli anni, sostenuto dall'entusiamo dirompente di un vero e proprio gruppo di lavoro, poté dedicarsi alla scrittura anche di film più ambiziosi che riusciti come Il Pap'occhio. Ma certo questi ultimi, e in primis lo stesso Così parlò Bellavista derivato dal suo principale successo letterario, come detto da Liliana Wertmuller e dalla Rossellini erano film carini, molto vicini allo stile dei film di Totò. Ovvero una regia in pratica assente e i personaggi interpreti che gigioneggiavano a piacimento, con in testa lo stesso De Crescenzo - narciso reo confesso: tutte le sue copertine dei libri hanno il suo ritratto - che spesso impartiva lezioni di vita derivate dalla filosofia greca.
C'era anche il fil rouge con Federico Fellini, ma il grande regista seppe cogliere molto meglio i tempi televisivi, tragici e disperati. Nella telefonata che ascoltiamo, Fellini coglie perfettamente il vero talento di De Crescenzo: quello di trascinare il lettore dentro una storiella che ci attira fin dalle prime parole in modo ipnotico per la sua semplicità. E certo non è poco. Fu anche una lezione per gli intellettuali che non l'hanno mai apprezzato. Anche se c'era un'eccezione, quella di Umberto Eco, semiologo sui generis, che aveva capito benissimo le trasformazioni sociali in corso di quegli anni.
Spesso De Crescenzo ci affascina perché ci costringe a fermarci per renderci conto che sono poche le cose che contano nella nostra vita, e tutti gli aspetti che sembrano reali invece possono essere solo dei sogni.
La sua paura più grande è, infatti, quella di risvegliarsi e scoprire che la sua vita non è andata in quel modo lì, lui è rimasto ingegnere alla IBM e non ha mai pubblicato tanti libri di successo... Come dire che l'uomo De Crescenzo si rende conto della sua grande fortuna nell'aver lasciato l'azienda dove le gerarchie erano distinte l'una dall'altra per il numero di bicchieri che i vari dirigenti avevano a disposizione sulla loro scrivania.
La sua lettera di licenziamento è rimasta famosissima: "Cara IBM non abbiamo più nulla da dirci... ".
Il documentario di Antonio Napoli ha un bel respiro perché riesce in appena 75 minuti a farci sognare questa bella vita vissuta veramente da Luciano De Crescenzo, anche se in fondo ci sono quei punti oscuri di ogni vita, quelli delle sue prime vignette, quasi sconosciute, in cui il suo personaggio alla fine viene "ucciso" perché cade in un burrone quando deve scattare una fotografia: il personaggio che sembra così solitario e depresso che per un po' di compagnia aspetta l'uccellino dell'orologio a cucù e si dispera quando deve aspettare altre ore per rivederlo... Quanto c'è di questo personaggio in De Crescenzo?
Il documentario di Napoli riesce anche attraverso il recupero delle fotografie di De Crescenzo a trasmettere quel senso di tenebrosa poesia derivante dallo scontro di povertà, degrado e bellezza. Le foto della città di Napoli sembrerebbero tristi, ma lo stesso si riesce a cogliere quella piccola grande luce di bellezza nell'espressione paradossale di un gesto e delle parole, di tante scritte spesso surreali.
Il pregio di Luciano De Crescenzo è quello di insegnarci a cercare di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto, di andare avanti nella nostra vita cercando sempre di guardare agli slanci dell'anima piuttosto che a quelli della società robotizzata e manipolata che sarebbe presto arrivata. E forse il suo rifiuto dell'inglese e anche dell'informatica dei nuovi colossi e multinazionali vuole proprio difenderci dall'attacco alla nostra anima.
Voto della redazione:
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