Recensione di Hercules – Il guerriero | The Rock non basta
Recensione di Hercules – Il guerriero con Dwayne “The Rock” Johnson, John Hurt e Joseph Fiennes: miti rivisitati e spettacoli inevitabili sono poca cosa se messi in mano a Brett Ratner
A Hercules – Il guerriero non sono sufficienti Dwayne “The Rock” Johnson e lo spettacolo inevitabile proprio dei kolossal, perché Brett Ratner, come al solito, ha rovinato tutto. Infatti il regista di X-men – Conflitto finale e della trilogia di Rush hour si dimostra per l’ennesima volta capace di rendere light, ipocalorico, iper-dietetico qualsiasi suo progetto cinematografico: turnista con ipotetiche macchie autoriali mai comprovate, nemmeno nel revisionismo fantasy/mitologico riesce ad esprimere le proprie intenzioni comiche tanto quelle drammatiche e d’azione.
Paladino della pulizia, riesce a catalizzare ed incanalare tutto il materiale a sua disposizione nella totale compostezza, senza una sbavatura che possa risultare trash (al massimo di sano cattivo gusto) e distante dall’intenzione/capacità di scavare o riscrivere od arricchire nell’oscuro o nell’enfatico (il classico meccanismo di flashback e traumi rivelati funziona sempre ma non basta mai, da solo), attorno al centro di gravità permanente proprio del suo cinema, quello di uno show diretto alla digeribilità piuttosto che alla brutalità (c’era riuscito anche con Red Dragon, prequel de Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme e remake di Manhunter di Michael Mann), al piacere di tutti invece che alla frattura odio/ammirazione, puntando non basso, ma andando sul sicuro.
Vedere un film di Brett Ratner è come viaggiare su una macchina con centinaia di airbag. E non è un fatto di blockbuster o di mainstream: basterebbe il paragone con un qualsiasi film di Michael Bay (sì, è sempre lui che bisogna scomodare), che oltretutto, con Pain & Gain – Muscoli e denaro, era riuscito ad estrarre molto del potenziale attoriale di The Rock, qui nuovamente fatto prima di tutto di carne più che di espressioni. E non è nemmeno la ricerca di un mood. Ambienti e combattimenti ci sono ed arrivano dritti agli occhi, adusti e compatti, senza tradire le intenzioni colossali, ma a rimanere denutrito tra vitamine e proteine è il film stesso, sotto il gravare di troppe immagini consuete ed atmosfere da brochure mitologica: il concept alla base, quello di un Ercole post dodici fatiche non semidio ma mercenario mortale, subisce il Ratner touch e, dietro un pugno nemmeno scarso di intuizioni non sviluppate e una quantità decente di fantasmi interiori, mostra non lacune e debolezze sparse, ma principalmente tutta la propria povertà di avvenimenti e di sfumature, tanto da finire col sembrare una puntata peplum dell’A-Team. O un quarto d’ora annacquato de I mercenari 2.
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