Recensione di La Ricostruzione | Bisogna essere morti per poter rinascere: Juan Taratuto si tuffa nella tenerezza
Recensione di La ricostruzione, film diretto da Juan Taratuto. Un racconto di formazione e una storia di fantasmi; il regista argentino tratteggia i suoi soggetti con toccante umanità, personaggi in cerca di sé stessi e di una catartica rinascita
Una tenera storia di fantasmi: è questa La ricostruzione, ultima pellicola dell'argentino Juan Taratuto, qui alle prese con anime perdute in cerca di catarsi, di una lacrima che possa finalmente spezzare la catena d'indifferenza che sopprime la propria anima, quel cuore che forse ha smesso di battere da un po', da quando un dolore troppo grande ha fatto calare il sipario sui sogni e le speranze di ogni possibile futuro. Fantasmi dicevamo, non solo quello dei morti, di padri mancati o di figli invisibili, ma anche e soprattutto quello di una persona che forse non ha mai vissuto, il protagonista Eduardo; uno che quando incrocia un incidente stradale tira avanti con indifferenza, che vive in una casa senza eletticità, così sfigato da rompersi un dente mentre cerca di pranzare. Insomma, un autentico outsider la cui misantropia è una corazza in cui nascondersi, forse impaurito o forse, semplicemente stanco di tutto, reso apatico da un'esistenza tanto solitaria quanto priva di stimoli. La ricostruzione del titolo, allora, è proprio quella dei sentimenti e della pulsazione sanguigna, attraverso un viaggio in cui s'incontreranno, nuovamente, tragedia e dolcezza.
Lieve è l'approccio del regista, la cui messa in scena non si tuffa mai nel più ovvio melodramma o nell'esagerata carica di pathos: piuttosto, sorvola e gira attorno ai suoi soggetti, tratteggiandoli con una delicatezza dalla toccante umanità. La tragedia non viene imboccata, casomai spiata quasi con imbarazzo: il dolore, in La ricostruzione, passa attraverso un selfie, l'ultimo addio al grande amore della propria vita, traccia di un ricordo da conservare nel pianto. Il ritmo è quello necessario e morbido della contemplazione, l'autore cerca il grande nel piccolo focalizzandosi sugli impercettibili gesti, uno sguardo d'amore / una lacrima che scende / un abbraccio di quelli che vorresti non finissero più. Il tempo, per nulla sofisticato e decorato, è il medesimo della vita, di un ritorno ad essa: La ricostruzione come racconto di formazione, di ritrovamento e rinascita, possibili solamente passando dall'ennesima morte, perché solo da morti si può resuscitare. Noi cerchiamo le emozioni sul volto impassibile di Diego Peretti, sentimenti che vediamo lentamente sbocciare e fiorire con meditata lentezza, fino a quel finale che ci riconcilia col mondo nonostante il retrogusto malinconico. E una volta usciti dalla sala, un leggero sorriso si forma fra nostre labbra senza nemmeno che ce ne accorgiamo.
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