Non potrà essere al Festival di Venezia Keywan Karimi, il regista di origini curde, per presentare il suo film in gara nella Settimana della Critica. Il motivo è la sua condanna in patria ad 1 anno di carcere e 223 frustate!
Tra tante poltrone occupate da star internazionali e maestri del cinema, una poltrona vuota diventa una delle immagini simbolo della Mostra. È quella di Keywan Karimi, il giovane regista iraniano di origini curde selezionato con la sua opera prima, Drum, alla 31. Settimana Internazionale della Critica. Condannato a sei anni di carcere (poi "ridotti" a uno dopo il processo d'appello) e a 223 frustate, per aver offeso governo e religione, a causa del suo documentario Writing on the City (che "raccontava" i graffiti della città di Teheran dalla Rivoluzione islamica alla rielezione di Ahmadinejad), Karimi vive oggi in un "limbo": non è stato ancora incarcerato, ma di fatto il suo status somiglia in tutto e per tutto a quello di un uomo agli arresti domiciliari, impossibilitato a lasciare il Paese. Un caso, il suo, che ha scatenato la sollevazione della comunità cinematografica internazionale.
Se Karimi non è a Venezia, a parlare per lui è il suo film, il primo lungometraggio di finzione dopo molti corti (tra cui The Adventure of a Married Couple, tratto da un racconto di Italo Calvino) e documentari: Drum è la storia di un avvocato di mezza età che vive e lavora da solo in un appartamento squallido. In un giorno di pioggia, un uomo gli affida un pacchetto: il giorno dopo, al suo ritorno a casa, l'avvocato trova l'appartamento saccheggiato e inizia a ricevere le minacce di qualcuno che vuole quel pacchetto. Né la sua ragazza né il suo migliore amico sono in grado di aiutarlo a risolvere il mistero, ma l'uomo resiste alle irruzioni, alle visite indesiderate, ai tentativi di corruzione. Quando la sua fidanzata viene pugnalata a morte, la sete di vendetta dell'avvocato diventa più forte di ogni altra cosa.
Insieme "realistico e allucinato, Drum - come sottolinea nel catalogo della SIC Alberto Anile, membro del comitato di selezione - non somiglia a nulla di già visto nel cinema iraniano". Piuttosto "sembra un soggetto hitchcockiano sceneggiato da Ciprì e Maresco e girato da un Soderbergh iraniano in pieno trip wellesiano. Il MacGuffin è un pacchetto nascosto e continuamente ricercato che semina morte e disperazione. Ma senza toni da commedia, qui l’umorismo lascia il passo al sarcasmo e al grottesco". Così astratto nella fattura ma così realistico nelle sue location, è normale che Drum - continua Anile - "sia interpretato come un atto di accusa a un regime mostruoso. Ma il mirino del regista sembra puntare ancora più in alto. La critica è innanzitutto esistenziale, la riflessione sugli uomini restituisce un pessimismo profondo e universale".
"Drum segnala la nascita di un talento sorprendente e originale. Un autore dallo sguardo potente che reinventa tutte le convenzioni formali e politiche del cinema iraniano. Un'autentica rivelazione e sorpresa", dichiara il Delegato Generale della Sic, Giona A. Nazzaro. "La speranza è che a Keywan Karimi venga restituita immediatamente la sua libertà di uomo, cittadino e di artista e che Drum venga amato e scoperto da tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia e del cinema", conclude Nazzaro.
Qui di seguito la lettera di Keywan Karimi letta prima della proiezione ufficiale:
Welcome and thank you all very much for coming to see our film.
DRUM is the child of the times of crisis and limbo. A child who is perhaps somewhat disturbed, sick, or even a hyperactive child. In any case, this is a child of conflict.
DRUM treats the subject of fear, because it is also a child born from the limbo and crisis that has recently marked my life.
Facing the fear of impending imprisonment, I had two wishes: that my mother would survive the claws of cancer, and that I would be able to make my first feature film. Today, my two wishes have been granted: my mother was healed and DRUM will make its world premiere here today.
Without the team behind DRUM, this film could never have made it to the screen today. The effort and perseverance of this group, who knew the situation of the director, gave me the necessary energy. Under the conditions that I was in and still am, where I risked imprisonment at any moment, who would dare bet on me as a filmmaker? It really was a dangerous gamble. I would like to thank my producer Francois D'Artemare for bringing us all together and believing in me. His courage made me brave. Courage was my only option.
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