Recensione di Lo chiamavano Jeeg Robot | Noir e superpoteri in un perfetto mix di generi
Recensione di Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti con Claudio Santamaria, Luca Marinelli, Ilenia Pastorelli: grottesco, cupo, spietato, nero, favolistico, spettacolare; un cinema convinto e convincente dallo sguardo finalmente autentico
Senza precedenti e senza eguali, dopo il passaggio acclamato al Festival di Roma scorso e una campagna pubblicitaria massiccia, azzeccata e il più possibile onesta, arriva finalmente nelle sale Lo chiamavano Jeeg Robot, il film d’esordio di Gabriele Mainetti con protagonisti Claudio Santamaria e Luca Marinelli.
Sgombrate la mente da pensieri dannosi e limitanti come: cinecomic, “i cartoni animati di un tempo”, “all’italiana”, “ammicco pop”. In parte noir, in parte film di supereroi (o meglio: di superpoteri), in parte commedia esistenziale e romance negativo, Lo chiamavano Jeeg Robot è una favola urbana e nera, un racconto caustico rivestito di fantasy. Viscerale, violento, grottesco, dilaniato: lo spirito del film è quasi senza speranza e spietato verso tutto e tutti. Un mondo preciso e chiuso, una teca di vetro senza opzioni esterne, alla soglia dell’esistenziale, capace di rivoltare i cliché del genere, l’intero panorama italico e non solo, perché Lo chiamavano Jeeg Robot brilla non per confronto nostrano, ma in assoluto.
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Tingendo Roma di neon, le periferie di colori sbiaditi e gli animi di meccaniche nere, il film rasenta la perfezione strutturale: il tipico “racconto delle origini dell’eroe” riesce a diventare una capsula cinematografica fatta e compiuta, il cupo velo caratterizzante non viene né tolto né sgualcito, la quantità sovrabbondante di sangue non estromette mai tutto il resto e, accanto e sopra al bodycount, scorrono pressione ed impressione avvolgenti, scena dopo scena, forti di un cinema totale, che risucchia i generi e i punti di riferimento in un vortice solido e univoco attraverso una regia che definire semplicemente come “efficace” sarebbe delittuoso, perché dotata di uno sguardo creativo (nel senso proprio del termine) che inietta d’energia le immagini ed ogni istante del film.
Una visione, quella di Mainetti e degli sceneggiatori Nicola Guaglianone e Menotti (i primi due avevano già collaborato per corti come Basette e Tiger Boy, con i quali Jeeg Robot sembra condividere l’universo narrativo) che appare come una traslazione velatamente fantascientifica di trascrizione della realtà, attraverso un trio di personalità iconiche dalle disparate follie (il burbero, l’allucinata, lo psicopatico) coagulati in personaggi dalla lunga scia, di cui riusciamo senza fatica a immaginare sogni, incubi e back story, senza odio né (pre)giudizio.
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Una visione capace di coniugare superpoteri, efferatezze, miseria e spettacolo, in cui la potenziale esagerazione è guidata dalla compattezza dell’immaginario, dal senso del grottesco, dal desiderio originario e narrativo che rifugge dal vero per diventare amabile versione distorta non meno autentica. Perché Lo chiamavano Jeeg Robot poteva esistere benissimo anche senza la componente fantascientifica e senza Jeeg Robot stesso, a patto che fosse rimasto il suo spirito amaro, ma è proprio la mescolanza degli elementi a renderlo una meraviglia dal punto di vista concettuale e soprattutto realizzativo, capace di tenere lo spettatore perennemente tra ghigno malefico (e malinconico) e sconcerto.
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Claudio Santamaria e Luca Marinelli brillano come poli opposti, antagonisti perfetti e calzanti, con Ilenia Pastorelli abbracciata ai suoi dvd a fare da ago della bilancia, tutti e tre capaci di sviscerare tutto il marcio di ciò che simboleggiano, coerenti fino alla fine. Lo chiamavano Jeeg Robot riesce ad essere un tour de force di crudezza e fantasia in un modo estraneo a quello americano, guardando pienamente al Giappone e senza buonismi, senza indorare alcunché, senza accontentarsi, senza piegarsi: cinema convinto e convincente, oculato e dallo sguardo finalmente autentico. E se proprio vogliamo considerarlo un atipico film di supereroi, diciamo: nel paese di Lo chiamavano Jeeg Robot non abbiamo bisogno di Deadpool.
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Voto della redazione:
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