La regista, allieva di Bellocchio e autrice del pluripremiato documentario su Joyce Lussu è in concorso al festival triestino nella sezione “Premio Corso Salani” con un intenso ritratto, in forma di diario, dedicato alla madre
Dopo il successo ottenuto all’ultimo Biografilm Festival, dove ha ricevuto una menzione speciale, Il canto delle cicale, nuovo documentario di Marcella Piccinini, un intenso ritratto, in forma di diario, dedicato alla madre, arriva al 34esimo Trieste Film Festival, in concorso nella sezione “Premio Corso Salani”.
Scritto insieme a Marianna Cappi e montato con la supervisione di Aline Hervé, il film sarà proiettato mercoledì 25 gennaio alle 16, presso il Cinema Ambasciatori, alla presenza della regista.
Il film racconta la storia di Anna Maria, che in seguito ad una malattia, è accudita dalla figlia Marcella. “Non sanno le cicale perché all’improvviso smettono il loro canto” è uno dei versi che attraversano questo film, sospeso tra i frammenti di poesia di poeti cari tra cui Gianni Rodari, Italo Calvino, Mila Kačič e Luciano De Giovanni il nonno della Piccinini apprezzato tra gli altri da Pablo Neruda, e le parole di amici e conoscenti, tra questi Franco Piavoli e Gianni Sofri.
I versi e le parole, a loro volta, sono sapientemente mixati alle sonorità emotive delle musiche scritte da Marco Biscarini, dimostratesi tra gli stimoli più efficaci durante il coma della madre. Alcune di queste musiche sono le stesse del film La mia casa, i miei coinquilini, il lungo viaggio di Joy Lussu, la storia della partigiana, scrittrice, attivista per i diritti delle donne raccontata dalla voce di Maya Sansa, che nel 2016 rivela Marcella Piccinini come regista esordiente e fa incetta di premi nei più importanti festival cinematografici italiani.
Il talento dell’allieva di Marco Bellocchio, artista multidisciplinare, ricostruisce in questo racconto autobiografico della malattia della madre, la storia del rapporto madre - figlia in forma di diario, una raccolta di appunti per un’autoanalisi collettiva. Il flusso dei ricordi, comprende le memorie affettive della madre, che diventa testimone del racconto di sé. Le musiche di Biscarini insieme alle canzoni di De Andrè e Guccini che durante gli anni giovanili nutrirono lo spirito di Anna Maria, diventano così uno strumento terapeutico, generando una circolarità del tempo che mischia passato e presente indistintamente.
“Se ne vanno leggere spaurite appena incauto ti muovi, le farfalle, la poesia”. La natura con i ritmi dell’orto di casa. Marcella Piccinini punteggia il suo diario con le luci di una campagna immersa nella nebbia, con il racconto di una natura solitaria, ma che è viva anche quando appare abbandonata, come nella tradizionale pittura fiamminga. La memoria orale è densa di voci di donne, essenziali nella ricostruzione della trama della storia e della mitologia famigliare. Gli amici sono al centro di questa geografia delle relazioni, in un racconto intimo che rivela uno sguardo di tenerezza, mai rassegnato alla malattia, rigenerato dallo spirito amorevole e combattivo di Marcella. Un capitolo nuovo di cinema al femminile. “Non avrei mai pensato di scrivere in prima persona e di avere il forte bisogno di raccontare con la mia voce.” dichiara la Piccinini “Con questo lavoro ho scoperto la mia voce, mi sono ascoltata. Mi sono accorta che non l’avevo mai fatto”.
Un film molto importante per l’autrice, realizzato insieme alle persone che le sono state accanto umanamente e professionalmente durante la malattia della madre. “Mia mamma si chiama Anna Maria. La nostra storia è solo una delle tante storie di persone che, durante la pandemia, hanno vissuto dentro bolle isolate.” Ci tiene a precisare Marcella “È in questi momenti difficili che si misura il potere dell’arte e si resta sorpresi dalle profondità che i rapporti umani sono in grado di toccare. Raccontare una vicenda personale, per raccontare una storia universale. La difficoltà più grossa per me è stata di parlare di una vicenda tragica, usando una poesia utile, che arrivasse direttamente al cuore. Insegnamento tramandatomi da Nazim Hikmet e da mio nonno poeta”.
“Il filo che unisce la mamma con la figlia, vicine ma lontane, mute ma guerriere. Un racconto di rabbia e poesia” conclude Marcella.
Marcella Piccinini è nata a Montichiari in provincia di Brescia nel 1974, vive da diversi anni a Bologna. Diplomata all’Istituto d’arte e all’Accademia delle Belle Arti, ha frequentato la scuola di fotografia di Vevey e si è laureata al Dams di Bologna. Ha seguito poi un master all’Accademia del cinema e della televisione di Praga FAMU Inernational e un corso di regia con Marco Bellocchio. Tra i suoi film, La luna di Kiev del 2007, che racconta la vita delle badanti ucraine in Italia ed è stato girato durante un viaggio in pullman da Bologna a Kiev e ritorno, nel periodo delle feste di fine anno. Ha realizzato numerosi cortometraggi tra cui Il mondo capovolto che tratta il tema della dislessia. Ha collaborato come costumista e scenografa al film Sorelle Mai di Marco Bellocchio. Ha realizzato il suo primo lungometraggio La mia casa, i miei coinquilini, il lungo viaggio di Joyce Lussu nel 2016 che dopo esser stato premiato in importanti festival cinematografici internazionali, è stato programmato dalla RAI e nel 2019 proiettato nella Sala Capitolare del Senato della Repubblica e alla Camera dei deputati in un omaggio alla memoria di Joyce Lussu.
Prodotto e diretto da Marcella Piccinini, scritto insieme a Marianna Cappi, montato dalla Piccinini con la preziosa supervisione di Aline Hervé, il film è stato realizzato con le musiche di Marco Biscarini edite da Ala Bianca Publishing. Diego Schiavo ha curato il suono, trasformandolo spesse volte in poesia. Il film vede anche la collaborazione di Home Movie per la parte dei materiali d’archivio e un contributo di Filando la rete per la post produzione.
Sinossi
“Ascoltavamo due tipi di musica a casa. Quella classica, quando c’era papà. E De André e Guccini, che esprimevano la tua voglia di ideali e di libertà, e che mi dicevi di spegnere prima che lui tornasse dal lavoro. Vivevamo due vite. Una insieme a papà e una quando lui era fuori: arrivavano allora Natascia, Consuelo, Roberto. Arrivava la magia. Adoravi il motto di Don Milani, “I care”. Maestra lo sei rimasta tutta la vita. Ora ti vedo sullo schermo dello smartphone. Viviamo tutti in bolle isolate che non possono decollare e incontrarsi. Penso continuamente alle modalità per accorciare le nostre distanze, per toglierti da quell’isolamento che ti ha inghiottito”.
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