Recensione di Shaun, vita da pecora - Il film | Gli ovini, la Grande Città, il cinema
Recensione di Shaun, vita da pecora - Il film di Mark Burton e Richard Starzack: lo studio di "Wallace e Gromit" porta a compimento un passaggio dalla tv al cinema senza perdere la forza surreale della serie originale
Shaun, vita da pecora di Mark Burton e Richard Starzack è, semplicemente, un altro gran colpo a segno della Aardman Animation.
Nato come spin-off di Wallace e Gromit, e come questo realizzato in plastilina animata in stop motion, la serie ha tra le sue peculiarità il fatto di essere completamente priva di dialoghi. Umanissime pecore belanti e animaleschi esseri umani dai suoni gutturali (il Pastore, principalmente), nonché tutti gli altri animali della fattoria, sono stati fino ad ora i protagonisti di più di cento miniepisodi eclettici, ironici, ricchi di assurdità ed inventiva, essenzialmente istrionici e spesso impeccabili nello svolgimento, ma prima di tutto e su tutto trasversali.
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La comicità delle imprese del gregge, quasi sempre mirate alla fuga dalla farm, è ogni volta magnetica (l’assenza di battute porta l’attenzione visiva al cento per cento) e parodistica in modo totalizzante, apprezzabile in egual misura sia dai bambini che dagli adulti non per compromesso ma per equilibrio, sospesa tra la qualità tecnica tipica della Aardman ed un ininterrotto flusso di bizzarria dolciastra.
E quanto fino a qui detto della serie vale anche per il film, perché il passaggio al the movie si può dire completamente riuscito, con nessun pezzo perso per strada. Shaun, vita da pecora riesce ad andare oltre la concezione del maxi-episodio senza tradirsi, ammansirsi o ripetersi, conservando i livelli qualitativi dello show per l’intera durata.
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I registi e sceneggiatori Mark Burton e Richard Starzack e tutto il team creativo sono ben consci dei punti di forza del mondo e della visionarietà che ruotano attorno alla pecora e ai suoi comprimari e non hanno bisogno di adattarsi ad un eventuale pubblico di passaggio.
Difatti in più di ottanta minuti non una sola riga di dialogo si rende necessaria per raccontare la fuga della mandria verso la Grande Città, tra una galera per animali e l’amnesia del Fattore, mentre lo spirito originario lega il tutto sequenza per sequenza senza che una sola gag rimanga isolata, prendendosi tutto lo spazio necessario per corrompere un’anatra con del pancarré, schernire la moda, entrare in una sala operatoria, travestire gli ovini da signorotte e far innamorare il suo protagonista, mantenendo la vicenda, lo schermo, il surrealismo e lo stimolo audiovisivo sempre vivi e lampanti.
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Shaun, vita da pecora si allarga quindi quanto deve senza diventare goffo o sproporzionato e calza perfettamente al grande schermo, quasi come vi fosse sempre stato.
Voto della redazione:
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