Ritratto di Redazione
Autore Redazione :: 10 Novembre 2014

Le armi di scena nei set dei film italiani non potranno più essere utilizzate. Il divieto blocca immediatamente tutte le produzioni. Di chi sono le responsabilità? In cosa consiste il problema? Di quale legge si parla?

Pistola puntata sul set

Da mercoledì 5 novembre 2014 le armi sceniche finora usate nei set italiani non potranno essere più utilizzate. La ragione non è da ricercare in una nuova legge emanata dal Ministro degli Interni Angelino Alfano, ma dalla scadenza delle proroghe concesse in una precedente circolare, che impone il ritiro delle armi non conformi alla normativa attualmente vigente. Detta così, sembra un problema minore e ingigantito dalla stampa: basta impiegare le armi che rispettano le disposizioni in vigore e tutto è a posto. In realtà la faccenda è più complessa.

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A definire le caratteristiche che devono avere le armi di uso scenico per non incorrere nel sequestro concorrono sia l’art. 22 L.110/1975 sia la circolare 50.302/10.C.N.77 del 7 luglio 2011, con il suo seguito del 19 giugno 2012. In sintesi, viene proposta la seguente definizione: “Per armi da fuoco per uso scenico si intendono le armi alle quali, con semplici accorgimenti tecnici, venga occlusa parzialmente la canna al solo scopo di impedire che possa espellere un proiettile ed il cui impiego avvenga costantemente sotto il controllo dell'armaiolo che le ha in carico”. Praticamente si tratta di armi anche da guerra modificate in maniera tale da impedire la fuoriuscita del proiettile. L’intervento da apportare per mettere a norma l’arma è descritto come segue: “Alesatura interna della canna in modo da eliminare la eventuale rigatura per tutta la lunghezza della stessa e aumentarne il diametro di almeno il 10 per cento per un tratto pari almeno all’80 per cento della lunghezza della canna” e “inserimento all’interno della canna di un dispositivo atto a rendere possibili il funzionamento dell’arma con munizionamento a salve e, contemporaneamente, idoneo a impedire l’uscita di frammenti solidi durante l’uso”. L’arma così modificata va poi inviata obbligatoriamente “presso il Banco Nazionale di Prova di Gardone Val Trompia per la verifica delle operazioni effettuate. Il Banco provvederà ad apporre, su ogni parte essenziale dell’arma, uno specifico punzone”. Questi interventi avrebbero dovuto essere fatti entro e non oltre la data del 5 novembre 2014. Dopo questa data le armi che non sono state modificate come specificato nella circolare non possono più essere impiegate.

Il problema è che gli interventi stessi non sono di semplice esecuzione. Come ha osservato Stefano Balassone, segretario dell’Anica, “si tratta di richieste tecniche definite dai periti ‘fuori dal campo del realizzabile’. E non si è trovata nessuna ditta in grado di eseguire queste modifica”. A dargli man forte è anche Edoardo Mori, curatore di earmi.it, enciclopedia delle armi online: “Queste circolari vanno fatte fare da chi se ne intende di armi e della loro meccanica e non da chi ha studiato diritto”; e aggiunge: “Quando il D. L.vo entrerà in vigore (…) il ministero dovrà emanare un regolamento sulle demilitarizzazione delle armi da guerra secondo regole europee uniformi e solo allora si potrà e dovrà valutare come far rientrare in esso le armi per uso scenico”.

In effetti non c’è stata alcuna modifica successiva alla circolare in questione e la normativa invalsa è rimasta la stessa. L’8 ottobre 2014 Massimo Cervellini, Segretario del gruppo Misto, ha presentato un’interrogazione al Senato dove fa presente che “gli operatori di questo settore, che in Italia sono solamente 4, si sono trovati nell'impossibilità di adempiere agli obblighi derivanti dalla circolare a causa del rifiuto opposto dagli armieri abilitati alle modifiche, motivato dall’onerosità e dalla difficoltà tecnica di eseguire gli interventi richiesti a meno di provocare danni irreparabili alle armi stesse e, tramite l’AIAT-SFX (associazione del settore) si sono rivolti al Ministro in indirizzo per chiedere se vi sia la possibilità di adottare interventi tecnici diversi da quelli espressamente indicati nella circolare, senza però ottenere alcuna risposta”. Su questa premessa Cervellini ha chiesto di sapere “se il Ministro in indirizzo non intenda intervenire con una proroga dei termini, al fine di consentire la convocazione, presso l’ufficio competente del Ministero, di un tavolo con gli operatori del settore, periti e armieri autorizzati, per individuare quali interventi tecnici possano essere effettuati realmente e in tempi brevi sulle armi sceniche a salve, consentendo agli attuali detentori di tali armi la prosecuzione della loro attività”. La sua interpellanza però non ha trovato alcuna sponda da parte del Ministero, con l’esito dell’entrata in vigore della normativa in questione.

[Leggi anche: Divieto delle armi sui set e situazione del cinema italiano. Parla il senatore Cervellini]

L’Anica dal canto suo, anche se probabilmente in tempi tardivi, ha emanato un comunicato nel quale esprime a chiare lettere che le perdite economiche e produttive che questo garbuglio normativo provocherà saranno ingenti per tutto il settore delle produzioni cine audiovisive d’azione.

A ben vedere, il Ministero sta lavorando effettivamente su un nuovo testo che dovrebbe introdurre una nuova proroga, in attesa della messa a punto di una normativa meno farraginosa e soprattutto più attinente alla realtà e al rispetto delle caratteristiche tecniche delle armi sceniche. Purtroppo non si sa quando questa nuova normativa sarà completata e approvata. E soprattutto quando – e soprattutto se – verrà almeno concessa una proroga che permetterà alle aziende di produzione che utilizzano armi di scena di continuare a lavorare.

Insomma, verrebbe da dire, siamo di fronte a un altro dei soliti guazzabugli all’italiana, in cui da una parte vengono promulgate normative inapplicabili e concepite da persone con competenza non adeguata alla materia trattata, dall’altra l’incapacità delle associazioni che dovrebbero orientare correttamente il lavoro degli organi legislativi competenti di fare valere o anche solo considerare le proprie ragioni.

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