Recensione di Chef - La ricetta perfetta | Il menu dello chef Favreau promette ma non mantiene
Recensione di "Chef" di Jon Favreau con Scarlett Johansson e Sofia Vergara. Qualche buon ingrendiente, ma non di più, per la commedia culinaria di Jon Favreau, caratterista prestato alla regia di blockbuster
Quella dello chef Casper, cuoco tradizionalista per volere del suo principale ma con alle spalle ben altre ambizioni, è una storia che Favreau sentiva molto (che si tratti di un’allegoria della sua anima indie prestata ai blockbuster?). A tal punto da averla scritta, diretta, prodotta e interpretata, con tanto di presenze impreziosenti di molti amici illustri (Scarlett Johansson, Dustin Hoffman, Sofia Vergara, Robert Downey jr., John Leguizamo) e una gradevole freschezza messa lì a scandire l’equilibrio timido ma non pavido della vicenda. Favreau è secco e conviviale, semplice e diretto, e la prima parte del suo film viaggia benissimo tra momenti brillanti e gustosi siparietti, all’interno dei quali la corpulenta fisicità e la simpatia non esibizionista dell’attore-regista sono senz’altro un valore aggiunto e non arrivano a fagocitare la piacevole amalgama di quanto gli gravita attorno.
Il gusto culinario e l’arte (non tanto la sua ricezione critica, quanto piuttosto la sua fruizione spassionata), si sa, sono poi territori affini, paurosamente tangenti, con più punti in comune di quel che molti soloni o parrucconi - dell’uno e dell’altro ambito - sono ancora oggi disposti ad ammettere. Favreau però, dopo una prima metà di film forse senza picchi ma di notevole affabilità e spigliatezza, fa della metafora che vede arte e cibo assoggettabili sotto la stessa etichetta un argilloso salvacondotto, ribadendo per l’ennesima volta quanta generalizzata pigrizia e scarsissimo senso di libertà persista nel maneggiare tale tematica senza scadere in luoghi comuni trasversali e dunque conservatori. Il tutto si riduce allora a un on the road conformista nel quale il regista prova a tenere insieme con esiti affannosi le diverse anime che il suo personaggio presenta nel film, dal padre al marito, compreso ovviamente tutto ciò che vi scorre in mezzo. Un po’ poco, a riprova di quanta poca confortevolezza vi sia, oggigiorno, nel parlare di cibo tenendosi alla larga tanto dalla retorica della ricercatezza a buon mercato di certi dannosissimi reality show quanto dalla solfa altrettanto perniciosa dell’alimentazione ruspante e verace, quella legata alla terra e lontana da inutili ammennicoli. La stessa assenza di coraggio che manca al film di Favreau, in definitiva troppo comodo nella sua approssimativa gestione corale di personaggi e situazioni. Chef si limita pertanto a vanificare i buoni ingredienti del menu e, se si esclude una riflessione all’acqua di rose sulla funzione ormai involuta di certi meccanismi dei social network in rapporto alla promozione dell’individuo, non dice nulla, né sul cinema né sul cibo né sul cibo al cinema, materia delicatissima proprio perché la relazione che intercorre tra i due elementi è tanto snobbata quanto a dir poco intima e profonda.
Voto della redazione:
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