La storica collaboratrice di Almodóvar racconta genesi e lavorazione dell'ultimo film del regista spagnolo
Un’ospite d’eccezione ha presentato lunedì 30 maggio a Milano Julieta, il nuovo film di Pedro Almodóvar, sbarcato in Italia dopo l’esordio al festival di Cannes: l’attrice Rossy de Palma, intervistata dal critico cinematografico Paolo Mereghetti, ha raccontato l’esperienza sul set e alcuni aneddoti sul suo quasi trentennale rapporto con il regista spagnolo.
Paolo Mereghetti: Come ti ha coinvolto Pedro in questo progetto?
Rossy de Palma: Mi ha semplicemente detto di avere una sceneggiatura pronta e di non sapere ancora a chi affidare alcuni ruoli, ma di essere sicuro di volere me per un personaggio molto particolare.
Paolo Mereghetti: In effetti il tuo personaggio è assai particolare. Dopo sei film con Almodóvar il pubblico, vedendoti sullo schermo in una sua opera, pensa di trovarsi davanti a un personaggio comico, e invece…
Rossy de Palma: Invece non lo è affatto. Il mio personaggio è cattivo e morboso. Per esso Pedro si è ispirato alla governante del film Rebecca di Hitchcock e ad alcuni personaggi della tragedia greca.
Paolo Mereghetti: Che atmosfera regnava sul set?
Rossy de Palma: Ah, ci siamo divertiti molto! Nonostante il film sia drammatico, c’era davvero una bella atmosfera. Le emozioni che scorrono nella storia erano palpabili sul set e per tutti è stata un’esperienza intensa. Oserei dire che siamo stati trasformati da questa intensità. Eppure l’emozione nel film è contenuta: pur essendo molto carica, non è urlata, è tenuta dentro. Non ci sono molte lacrime ma credo che questo aiuti ad amplificare il dolore delle protagoniste di questa storia.
Paolo Mereghetti: Per il ruolo di Julieta Pedro ha deciso di utilizzare due attrici diverse. Perché l’ha fatto? Cosa pensi tu di questa scelta?
Rossy de Palma: L’idea di Pedro, che io condivido completamente, è che non si può truccare uno sguardo. Con il trucco si può invecchiare un’attrice, certo, ma lo sguardo di una donna che ha vissuto un dolore così profondo, che ha raggiunto quella maturità, non lo si può ricreare artificialmente. È meglio dunque far interpretare il ruolo ad un’attrice matura piuttosto che invecchiare una ragazza. E se la sceneggiatura si svolge lungo un arco di tempo molto ampio, ben vengano due attrici. Secondo me è una scelta logica, l’effetto è molto più realistico.
Paolo Mereghetti: Come si è rapportato Pedro ai racconti da cui è tratto il film? [Julieta è liberamente ispirato a tre racconti di Alice Munro intitolati Fatalità, Tra poco e Silenzio, pubblicati nell’antologia In fuga]
Rossy de Palma: Pedro aveva acquistato i diritti dei racconti molti anni fa perché se ne era innamorato subito. Poi li aveva accantonati per un po’, credo in attesa di un’ispirazione. Quando ha iniziato a lavorare al film aveva deciso di intitolarlo Silenzio, ma ha cambiato idea. Era andato in America, con l’intento di produrre il film con l’aiuto dei mezzi americani, però ha capito che a Hollywood il produttore ha troppo potere sul film, più del regista stesso, e non voleva perdere il controllo della sua creatura. Aveva persino contattato Meryl Streep! Per fortuna poi ha deciso di tornare in Spagna. Credo tuttavia che Julieta sia uno di quei film in cui il locale diventa universale: ogni Paese può riconoscersi in queste donne e nel loro dramma e sentirsi da loro rappresentato.
Paolo Mereghetti: Ci puoi dire qualcosa sull’aspetto sonoro del film?
Rossy de Palma: Pedro è da sempre attentissimo alla componente sonora dei suoi film, nonostante sia sordo da un orecchio. Per lui ogni inflessione della voce di un attore è importantissima, ogni parola deve essere pronunciata con la giusta energia, la giusta intonazione, la giusta enfasi. Lavorare con lui è estremamente gratificante perché valorizza anche questo aspetto della recitazione. È meno gratificante invece sapere che questo lavoro verrà vanificato dal doppiaggio in alcuni Paesi, tra cui l’Italia purtroppo! Ammiro molto i vostri doppiatori, sono davvero bravissimi, ma un film è un’opera d’arte che andrebbe goduta senza questo filtro.
Paolo Mereghetti: Il film a Cannes è stato visto da molti critici come una svolta nella carriera di Almodóvar, proprio per il suo essere meno comico e più incentrato sul dolore, sul buio anziché sulla luce.
Rossy de Palma: Affermazioni come queste mi lasciano sempre perplessa. Il film è veramente molto sofisticato, elegante. Credo che sia necessario guardarlo almeno due volte per capirlo davvero. Ci sono rimandi a Hitchcock e a Douglas Sirk, ma non credo sia meno “almodóvariano” di altri. Un vero creativo non può incanalare la sua creatività in una direzione prestabilita. Scrive, compone quello che il suo estro gli dice in quel momento. Ritengo anzi che in quest’opera Pedro parli molto della sua solitudine, esattamente come aveva fatto in altri film. Credo che quando lo si riguarderà tra qualche anno produrrà lo stesso effetto delle altre sue pellicole, come Donne sull’orlo di una crisi di nervi: apparirà sempre fresco, attuale.
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