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Autore Alessandro Tavola :: 26 Maggio 2016
Locandina di Julieta di Pedro Almodóvar

Recensione di Julieta di Pedro Almodóvar con Emma Suárez, Adriana Ugarte, Darío Grandinetti, Rossy de Palma: il regista spagnolo ritorna con un'opera integralmente melò, ricalcando il proprio stile senza rinnovarsi e senza rileggersi

Emma Suárez, Adriana Ugarte, Darío Grandinetti e la fida Rossy de Palma compongono il cast di Julieta, l’ultimo film di Pedro Almodóvar presentato in concorso al Festival di cannes.

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Dopo la parentesi giocoso-trash de Gli amanti passeggeri, il regista spagnolo torna alla ricerca del buio più che della luce, riproponendo tipologie tipiche dei suoi personaggi, provando a mettere in scena una nuova indagine dell’animo, un nuovo ripercorrere le distanze tra le vite possibili: melodramma in senso stretto, strettissimo, senza che un imprevisto o una sterzata si presentino su un cammino esistenziale percorso già una moltitudine di volte.

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Ci ritroviamo nuovamente davanti a un Almodóvar fatto di colori gettati uniformi e densi, di emozionalità ricercate nei piccoli gesti, nei volti, nelle pause, negli accostamenti quasi silenti tra nervosismi tenui, tra misteri interiori semplicemente accennati ed ipoteticamente pronti ad esplodere. Una struttura-impianto che, duole dirlo, è per l’autore di Parla con lei il minimo, una versione ultrabasilare della sua visione narrativa.
Come andasse con il pilota automatico e senza voglia/necessità di esplorare cavità ed angoli inediti dei turbamenti che mette in scena, Almodóvar ci butta negli occhi tinte pastello ed immagini statiche, scenografie ed abiti sgargianti, primi piani di volti distrutti. Salti temporali per nulla traumatici provano a comporre un puzzle delineato come essenziale, ma l’agire per sottrazione è rischioso e la sobrietà ha i suoi limiti, con una patina arty, anche semplicemente a livello percettivo, che si ritrova a costringere il tutto in immagini tanto cariche nella loro pittoricità quanto stantie nel loro susseguirsi. In Julieta (degli spiriti) ritroviamo tutto Almodóvar, ma si tratta più di un’elencazione che di una costruzione, di un ri-farsi, di uno sfoggio di repertorio.

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Certamente sono chiari l’accoramento innato del regista, la pulsione che lo porta a sbattere la testa verso il tumulto, il dramma, il melò fino ad affogarci, fino a non vederci più; ma per come tutto ciò ci giunge da Julieta, ennesima creatura Almodóvariana da potersi tatuare sul cuore, la sensazione è quella di un puro e semplice gioco col genere che arriva tra gli ultimi, stanco e ormai privato d’intuizione dopo una serie di prove più acrobatiche o perlomeno stimolanti come La mala educación o La pelle che abito.

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Paragonabile per dislivello tra idea e realizzazione al più recente Tornatore de La corrispondenza (entrambe le pellicole confidano eccessivamente nella carica drammatica, nella caratura visiva, nella frattura temporale), Julieta è un’opera pallida e priva di solidità e magnetismo, in cui ritrovare l’autore spagnolo al cento per cento, ma ridotto a mere meccaniche e regole, delle quali non basta la semplice somma: come se di mezzo ci fosse un’amnesia, è come se Almodóvar si fosse letto un libro su Almodóvar prima di realizzare il film.

Trailer di Julieta

Voto della redazione: 

2

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