Recensione di La corrispondenza | Il romanticismo di plastica e alluminio di Tornatore
Recensione di La corrispondenza di Giuseppe Tornatore con Jeremy Irons, Olga Kurylenko: tra noncuranza, autocompiacimento e banalità, un atto di edonismo spacciato per romanticismo; ma questa volta non possiamo né cascarci né stare al gioco
Con La corrispondenza, interpretato da un tipico Jeremy Irons e una malcapitata Olga Kurylenko, Giuseppe Tornatore rimane dalle parti del cinema di genere ed esistenziale, ma questa volta la riflessione che vuole venderci non riesce ad andare oltre l’involucro gelido ed artificiale di un del tutto immotivato autocompicimento.
Non si tratta di un film che rovina l’intuizione con questa o quella mossa falsa, ma di un inanellamento di concetti presi o in maniera del tutto superficiale (l’astronomia, messa a fare quel che di solito fa la culinaria) o succhiati fino al midollo (quello di Jeremy Irons è forse l’unico vero personaggio di Tornatore dagli eccessi indifendibili), alla ricerca di un sentiment(amism)o e di una passione totalitari. Lo schema è quello del miglior Tornatore (quello del noir e dei twist), e sotto le spoglie aride de La corrispondenza se ne può intravedere il cuore pulsante, ma uno strafare non all’altezza delle sue architetture migliori fa sì che ogni pezzo finisca con l’essere abusato e trascurato allo stesso tempo: nel voler eliminare e stravolgere le dimensioni spaziotemporali in toto in un'operazione di abbordabilissimo sincretismo, la comunicazione digitale, l’astronomia, le distanze, la vita e la morte stesse vengono trattate con leziosa ignoranza e diventano elementi di svilente banalità, di accostamento che appare provvisorio, svogliato, elementare, inaccettabile, in una ripetizione travestita da novità, in un edonismo spacciato per romanticismo; ma questa volta non possiamo né cascarci né stare al gioco.
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Tornatore gioca come sempre di sovrabbondanza, ma invece di raggiungere le sue vette dolciastre, smaccate e cumulative, si sfracella al suolo, perché sembra non avere idea di quel che dice e che fa dire ai personaggi. Se con La migliore offerta si toccava il limite massimo, la capienza oltre la quale il film poteva crollare su se stesso, con La corrispondenza la bolla esplode fin da subito e dalla prima scena la sensazione è quella di una fallimentare esagerazione sotto ogni punto di vista, questa volta non salvata dal barocco e dalla solennità ricercata in ogni singolo momento. Congruenze e contrasti si fermano al concetto, tradotto in dialoghi e monologhi esili, in veloci cambi di location, in simbolismi poco convinti, in una impasse stilistica e cogitativa. La corrispondenza risulta essere secondo solo a Baarìa per egotismo (principalmente tecnico) malcelato, con un Tornatore abbandonato alle proprie fisime e alle proprie ricorrenze senza che nulla o nessuno riesca ad indicargli lo sbaglio, a correggerlo nell’utilizzo degli strumenti scelti, a guidarne la smania, a frenarne le ingiustificabili convinzioni, a controbattere ai suoi «Guardate quanto sono bravo».
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Mancano una consapevolezza grottesca, un sincero innamoramento, un motivo per interessarsi ai personaggi, un’atmosfera che non sia mero design: La corrispondenza è un film segnato dall’incuria e dalla monodimensionalità, dal virtuosismo asettico, con una troppo gelida e smaccata struttura, che si dà troppe regole e poi non riesce a rispettarne nessuna. I sentimenti si ritrovano congelati e finti, e speriamo ciò non sia avvenuto consciamente, perché il risultato è l’esatto opposto della sintesi che si vuole proporre, una regressione che non sembrava possibile: sembra di assistere al fare tracotante di uno studente che non ha studiato niente, al disinteresse quasi offensivo di chi blatera di amore e morte quando invece è, forse per la prima volta, solamente un tecnico e un poser.
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Voto della redazione:
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