Recensione di Cristiada di Dean Wright, con Andy Garcia, Eva Longoria e Oscar Isaac: sapiente nella tecnica e spedito nel ritmo, uno dei maestri degli effetti speciali racconta la guerra dei cristeros tra sangue e violenza
Con Andy Garcia, Eva Longoria e Oscar Isaac, Cristiada di Dean Wright, ambientato durante la guerra civile messicana, riesce ad essere un buon esempio di come eventi storici poco noti possano (e forse debbano) essere trattati al cinema.
Veterano degli effetti speciali del americano contemporaneo, con alle spalle una filmografia che va da Titanic a Hercules – Il guerriero, passando per i due capitoli finali del Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, il regista è capace di firmare il suo primo film con sfoggio di sapienza tecnica indiscutibile arricchita da un non indifferente grado di irriverenza. È evidente quanto il suo lavoro possa essere stato libero di spaziare: il tema e la struttura del film lasciano intravedere un impianto preciso e lineare, ordinato e legato alla natura documentale dell’operazione, ma Wright riesce a rendere questa necessità/compromesso meno ingombrante di quanto accada solitamente.
Guerra civile e persecuzione ideologica vengono tradotte in azione e violenza, l’insurrezione cattolica contro un governo oppressivo pulsa attraverso il sangue e le sparatorie, e tra un'esecuzione e un'imboscata il tutto assume connotazioni western – non quello classico americano, ma lo spaghetti più dinamico e visivamente vivace - al grido di «Viva Cristo re!».
Wright riesce a rendere i momenti di dialogo funzionanti, bilancianti tra una battaglia e l’altra, dando le giuste pause, il più idoneo tempo d’attesa per non far scemare l’attenzione, prima di ripagare con le scene d’azione: non si tratta di leggerezza, ma bensì di una capacità di affrescare ed innescare, di dare la scintilla tra libertà ed oppressione e rendere il tutto tramite un simbolismo universale ed autonomo, essenziale ma capace di portare un certo afflato eroico automatico.
Tenendo lontano l’imbolsimento falsamente epico solitamente determinato da grandi pause, colonne sonore imponenti (qui è di un James Horner mai inopportuno) e color correction di piombo (la palette del direttore della fotografia Eduardo Martínez Solares è invece varia ed appagante), Cristiada ha ritmo coriaceo, devozione alla dinamicità ed un collaudatissimo mix di inquadrature, camera shaking e montaggio all’opposto della sprovvedutezza che da solo basta a far tenere aperti gli occhi. Il finale, sorprendentemente frettoloso, potrebbe essere stato montato in dieci minuti e sembra esistere solo perché ovviamente non se ne poteva fare a meno: come se il regista avesse voluto andare avanti all’infinito.
[Leggi anche: la recensione di I due volti di gennaio con Oscar Isaac]
Certo, tutto ciò non è sufficiente a fare un grande film, e può apparire di maniera e primariamente scolastico, ma quella di Wright è senza dubbio un’ottima accademia, anche se orientata più alla riuscita delle singole scene che alla definizione totale dell’opera.
Ma meglio un buon saggio schietto, veloce e divertito di un romanzo borioso, meglio le immagini spedite e cinematograficamente rassicuranti di un filmmaker incompleto che l’eccesso di megalomania di certi sedicenti autori.
Voto della redazione:
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