Recensione di Ritorno a L'Avana | Un Laurent Cantet pieno di limiti per una reunion
Recensione di Ritorno a L'Avana di Laurent Cantet, con Isabel Santos, Jorge Perugorría: il regista di "La classe" cerca di riproporre le impressioni del suo lavoro più noto, ma il risultato sono sottili immagini di passaggio
Capace di vincere il premio delle Giornate degli Autori all’ultima Mostra del cinema di Venezia, Ritorno a L’Avana di Laurent Cantet ci dimostra nuovamente molti dei limiti dell’autore.
Ambientato nella capitale cubana durante una reunion di amici e colleghi di vecchia data in cui rancori, ricordi, segreti, dissapori, sogni spezzati si disciolgono attraverso le parole del gruppo, il film è in grado di conservare molti degli stilemi del regista, soprattutto per quanto riguarda le dinamiche tra i personaggi e le concezioni spaziali, ma senza riuscire ad evitare un effetto posticcio e smaccatamente autoindulgente.
Se lo schema compositivo è quello de La classe – Entre les murs con cui vinse la Palma d’oro nel 2008, qui siamo sui tetti cercando di riproporre la medesima tensione, calcando su dialoghi più o meno serrati ed interpretazioni dense. Ma né gli argomenti né il cast di Ritorno a L’Avana riescono a stimolare quell’evocazione marziale: è prima di tutto il tema del meeting, nostalgico prima ed espiatorio poi, ben più diffuso e già di suo post-bellico a necessitare una reinvenzione continua per non cadere nel luogo comune e per evitare di essere bollato, anche se approssimativamente, come “somigliante a”.
Cantet fa solo quel che è sicuro di saper fare, toppando clamorosamente, nel ricalco di sé stesso: si era visto con Fox Fire – Ragazze cattive quanto potesse smarrirsi una volta uscito dalla propria arena, dallo scannatoio verbale esplorato ampiamente nelle pellicole precedenti; e basterebbe pensare a Polanski – soprattutto l’ultimissimo – per avere idea delle infinite possibilità degli spazi chiusi e dei confronti orali, mentre l’Itaca del titolo originale (Retour à Ithaque) resta come un sordo richiamo ed uno sbiadito indoramento di uno scontro snobilitato e forse impoverito da una regia che non riesce ad aggiungere alcunché, tanto sicura di sé e della propria solidità quanto in realtà rattrappita, e le cui convinzioni vengono continuamente ribadite ma mai riformulate, fedeli a determinate tonalità, con una forza quasi istituzionale nel momento in cui si presentano, ma segnate dalla fragilità subito dopo, destinate a dissolversi completamente a fine sequenza e a fine visione.
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Il risultato è un purgatorio in cui i personaggi riescono sì a ripercorrersi e ad attrarre, ma, fermi nella loro bidimensionalità, si tratta di sottili immagini di passaggio, incapaci di persistere e prive di autentica personalità.
Voto della redazione:
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