Annunciato l'acquisto di una percentuale dei più grandi siti alternativi a Youtube del mercato cinese da parte di Alibaba, mostro dello shopping casalingo
Dopo aver già collezionato delle compartecipazioni solide nella Huayi Brothers cinese (un mostro produttivo e distributivo con numeri da capogiro) e nella hongkongese Media Asia, il gigante Alibaba e la consociata Yunfeng Capital hanno annunciato l'acquisto di poco meno del 20% dei due siti leader del video online cinese: si tratta di Youku e Tudou, le vere alternative al Youtube censurato dal Governo. Per i più, Alibaba rimane conosciuta per l'enorme flusso di commercio online di importazione cinese: l'azienda gestisce infatti taobao.com, un sito dove l'introvabile diventa trovabile, dove ogni problema individua una sua soluzione produttiva, e nel 2012 ha superato il giro monetario collezionato da eBay e Amazon insieme.
Pare che l'interesse, a detta dei due CEO, Jack Ma per la compagnia di mercato online e Victor Koo di Youku-Tudou, sia quello di rendere interscambiabile l'offerta online-offline. Decisamente, l'iniezione di capitale porterà ad una evoluzione e diversificazione della proposta dei siti di video online, che già gestiscono il grosso del flusso di immagini in movimento cinese, che complessivamente ammonta a circa il 41% del totale. Niente male. Ad essi si affiancano iQiyi e Sohu, al centro in questi giorni di altrettante curiose notizie, per via della campagna di censura operata in direzione delle serie televisive americane "The Big Bang Theory", "The Good Wife", "NCIS" e "The Practice".
Ma il colosso Alibaba non si ferma a questo, poiché è stato annunciata l'intenzione di acquistare Chinavision (produzione di Hong Kong), di unirsi finanziariamente a Wasu Media (televisione on demand online) e di lanciare, nel tempo libero, un sito di crowd-funding.
Tuttavia, lo scacco di Alibaba è solo uno dei numerosi passi da gigante che tutto lo showbiz mondiale sta muovendo verso il pubblico dagli occhi a mandorla, che è a tutti gli effetti il secondo pubblico nella classifica mondiale dopo gli USA.
È di pochi giorni fa, infatti, la notizia che anche gli inglesi, dopo aver perso in prontezza sui francesi (gli italiani non partecipano neppure alla competizione... ), hanno stretto una serie di accordi coproduttivi eccezionali con il partner cinese. Ciò che è stato firmato prevede che le co-produzioni sino-british si avvantaggino di agevolazioni in terra europea, tramite l'accesso al tax rebat e al BFI Film Fund, mentre siano libere di percorrere scorciatoie ufficiali nell'iter distributivo. In altre parole, i film in co-produzione non verranno soggetti ai limiti imposti dalla quota di film stranieri ammessi nelle sale cinesi e distribuiti dall'unica fiduciaria del Governo, China Film Group, solo da poco in compagnia di China National Culture & Art Corporation (Cncac); ma aderiranno ad un protocollo dedicato. Sebbene infatti la quota sia stata ufficialmente estesa (qui la notizia), si tratta ancora di una manciata di pellicole di cui la più parte di ben prevedibile natura blockbuster.
È evidente che stiamo assistendo ad una caccia aperta all'accordo più succulento, da entrambe le parti. Se infatti le produzioni e distribuzioni europee e americane sono in cerca di accessi distributivi di qualunque natura - non dimentichiamo che il pubblico cinese in tutto il suo afflusso di canali, dal DVD al cinema fino all'on-demand, è stato valutato attorno 2.7 miliardi di dollari, in crescita prevista fino ai 5.5 miliardi nel 2017 -, la Cina si sta preparando a piazzare sempre più stabilmente i propri prodotti nei mercati esteri: l'investimento di Alibaba è solo un esempio dell'abbattimento dei confini tra consumo (commerciale) e fruizione (cinematografica).
La fine del product placement e la legalizzazione dell'arte commerciale?
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