Recensione di Nomi e Cognomi: Rizzo prosegue sulla linea socioculturale di un Paese alla deriva, la voce della verità passa dalla cronaca di un piccolo quotidiano, i suoi eroi sono giovani redattori, i suoi ideali tutti negli occhi di Lo Verso
Primo lungometraggio di Sebastiano Rizzo nonché doloroso manifesto di intensa attualità Nomi e Cognomi si stringe attorno alle crepe e ai disagi territoriali che vorremmo negare e che invece fioriscono alla luce del sole, senza argini né morali. Arriva nelle sale tre anni dopo il cortometraggio di La ricotta e il caffè in cui Rizzo ha omaggiato la memoria di Giuseppe Fava e, come una sua eco, scorre in cento minuti di denuncia culturale.
Domenico Riva, giornalista del Paese del Sud, è uno dei pochi eroi di penna che vogliono raccontare la realtà che lo circonda, senza usare i filtri dell’usura sociale, né soprattutto scendere a compromessi con la criminalità organizzata. Vive al di qua di un muro di ipocrisie e di mafie, rischia quotidianamente la propria vita e custodisce quell’etica che sembra ormai troppo lontana persino da immaginare. È una pedina scomoda, o meglio, è una spina nel fianco fastidiosa e incontrollabile: uno di quei drammatici personaggi i cui occhi rivelano il senso aulico della libertà e del coraggio intellettuale, che quel muro vorrebbe farlo tremare e poi distruggere.
Enrico Lo verso interpreta un personaggio risoluto, ma ironico, positivo e ideale. Determinato a smascherare gli imbrogli “legali” della discarica del suo paese Riva non incarna solo la voce dei cronisti che credono e che hanno creduto in questo mestiere (a cui il film è dedicato), è anche il volto dello strazio accerchiato dalla corruzione, afflitto dalle minacce e soffocato dall’indifferenza. Per quanto talvolta didattico Lo verso crede nelle parole che dice e dice parole in cui vorremmo credere. Più che incontrollabile è incrollabile, motivato a sfidare la malavita, nonostante i proiettili d’avvertimento che nasconde in tasca.
C’è un abbraccio ecumenico in questo film, una fede dimenticata che, al contrario, dovrebbe ispirarci tutti. Megafono di vite spezzate, di vite sottomesse o comprate, di dolori familiari, di delusioni giovanili e, nonostante ciò, avanza palpitante e reattivo, scomodo e vero. È un’opera seconda che non trascura affatto i subdoli meccanismi di Cosa nostra e che vuole farci pensare al futuro, a cominciare anche dai ruoli secondari di promettenti redattori. Sono (forse) più loro a guardare dritto in faccia il sangue di capitoli scritti e cestinati, di storie mai davvero condivise. Continua a crescere la loro delusione e la tristezza di perdere punti di riferimento sempre più rari, di dover restare fermi ad aspettare o di non avere altra possibilità che arrendersi. Proprio questo appare l’obiettivo-denuncia a cui mira Rizzo: è necessario interessarsi a ciò che ci sfiora o ci fa paura, bisogna dare ai fatti Nomi e Cognomi, e il sacrificio di persone scomparse dovrebbe cominciare ad avere un senso… concreto.
Voto della redazione:
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