Recensione di Tracers: arrampicate a colpi di reni e rincorse sui tetti di New York, amori e debiti, crimini e ricatti dentro la danza urbana dei free runners firmata da Daniel Benmayor, Tracers omaggia il Parkour, ma il resto è un appiglio
New York City, traffico e Parkour (quest’ultimo conosciuto anche come “l’arte dello spostamento”). Ovvero scenario perfetto per ostacoli e acrobazie d’asfalto, per corrieri in mountain bike e scontri di faide. Daniel Benmayor il suo ultimo film lo confeziona pratico, spicciolo e indolore, intrecciando un gruppo di criminali in erba (i traceurs del titolo), la vita in bolletta del protagonista (che a loro si lega per saldare un debito) e una love story impossibile. Tante le (rin)corse e poco il contenuto, ma è subito palese che l’intento del regista è trasportarci sui tetti e lungo le traiettorie di volo dei suoi attori, omaggiando volteggi, salti e scalate di chi pratica questa disciplina propulsiva.
Cam, il Taylor Lautner di Twilight, è un giovane senza famiglia indebitato fino al collo con una banda cinese. Scontratosi un giorno con una ragazza misteriosa (Marie Avgeropoulos) setaccia tutta la città per ritrovarla, finendo in braccio a un giro di malvivenza e di galoppate a colpi di reni. Tracers inizia (e finisce) qui e, se non fosse per lo stato mentale che abbozza la filosofia dei free runners o per il ritmo che ne scaturisce, sarebbe davvero poco godibile. Per fortuna sorpassato lo sguardo immutabile di Lautner, (a cui comunque si deve l’impegno di aver eseguito molti esercizi senza controfigura) i movimenti e l’atletica hanno la meglio, realizzati da un buon lavoro di stuntmen e inquadrati dalla troupe che li tallona. Si apprezza quindi un regime di sequenze mai inquinate da un eccessivo montaggio frenetico, né al contrario artefatte col rallenty. Le azioni riescono a mantenersi pulite, la musica le accompagna su note elettroniche e molte prove di agilità mostrano quei corpi in movimento a cui punta il regista, catturati dentro una camera su spalla o inseriti in campi più lunghi. O meglio dentro “terre sterminate” dove bisogna spingersi costantemente oltre i propri limiti e a ben guardare dove più che l’ostacolo risiede la sfida. Metafora blanda che l’ex licantropo ha provato a cogliere dando tuttavia una prova mediocre di recitazione, in compagnia (va detto) di altri personaggi fermi all’imbastitura.
La trama di Benmayor non è filata certo con pretese, confinata in origine alla visione solo sul piccolo schermo arriva al cinema con più di qualche dubbio. Tracers è destinato alla mono-visione, a uno spettacolo di anti-gravità sportiva divertente e impersonale, malgrado il significato del titolo lascia pochissime tracce, ma dopotutto non fa male a nessuno.
Voto della redazione:
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