Recensione di La moglie del cuoco | L'amore ai tempi di Masterchef
Recensione di La moglie del cuoco di Anne Le Ny. Triangolo amoroso tra fornelli e centro per l'impiego: una commedia garbata ma poco consistente
Il bon ton francese che tanto piace nella moda e in cucina ha stabilito, ormai da decenni, una linea inflessibile anche al cinema, con una produzione sterminata di commediole garbate e graziose, frizzanti e mai politicamente scorrette, innocue e poco incisive: in altre parole, una noia mortale, ma in confezione regalo.
Non fa eccezione La moglie del cuoco, di Anne Le Ny, nasuta attrice francese conosciuta come caratterista in patria e candidata agli Oscar francesi (i César) per il suo ruolo nella zuccherosa dramedy Quasi amici (2011). Al quarto film da regista (dopo Ceux qui restent, Les invités de mon père e Cornouaille), la Le Ny si conferma in linea con la tendenza très chic di casa sua, partorendo un’esile commedia sentimentale, che ha la pretesa (non sempre rispettata) di raccontare, insieme alle magagne dei protagonisti, anche i tempi bui della crisi.
L’energica Marithé (Karin Viard) lavora in un centro di formazione per adulti, è divorziata ma in ottimi (e poco verosimili) rapporti con l’ex marito Pierre (Philippe Rebbot) e la di lui nuova compagna (la stessa Le Ny, che poco modestamente fa sì, nella finzione, che Pierre lasci la carina e frizzante moglie per riaccasarsi con un’anziana bruttona). Alla viglia della partenza per l’Erasmus del figlio (Yan Tassim) con cui vive, incontra la stramba e svagata Carole (Emmanuelle Devos), una vita spesa in un ristorante di lusso all’ombra dell’affascinante marito Sam (Roschdy Zem), chef di grande fama che è in procinto di aprire un bistrot in centro. Carole vorrebbe l’aiuto di Marithé per ricostruirsi un’identità professionale, ma quest'ultima, contravvenendo ai suoi principi, si lascia irretire dai manicaretti del cuoco.
Un po’ troppa carne al fuoco in un accumulo di tematiche che non possono, per ragioni di tempo, essere sviscerate come meriterebbero. L’ambiguo rapporto tra le due donne, con Carole che insegue Marithé come modello emancipato e quest’ultima che le sfugge, sentendosi in colpa per via dell’attrazione che prova nei confronti di Sam, costituisce uno degli assi portanti del film, che però vuole includere anche la crisi economica come occasione per reinventarsi, lo stress da lavoro come problema da cui curarsi, l’abbandono del nido da parte dei figli, il desiderio di rinnamorarsi a cinquant’anni, i dilemmi morali e, infine, il tema della seduzione culinaria tanto di moda ai tempi dei cuochi superstar.
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Le prove attoriali sono discrete, soprattutto per la Viard, spiritosa e sbrigativa, e Zem, a suo agio dietro i fornelli tanto quanto con le pistole che solitamente si porta appresso negli action movie di cui è spesso protagonista. Meno efficace la Devos, piagnucolosa e inconcludente donnetta borghese perennemente insoddisfatta. Ma tanto non basta per revitalizzare una commedia garbata ma ritrita, con qualche sprazzo di buonismo sociale (le operaie licenziate assunte come cameriere da Sam, anche se sono vecchie, grasse e burbere), già vista al cinema troppe volte, specie nella cinematografia francese. Un prodotto gradevole ma sostanzialmente privo di appeal, che, se fatto a Hollywood avrebbe almeno speso la carta dei belloni per arrivare a un pubblico mainstream. Da vedere con la mamma (se è di bocca buona) la domenica pomeriggio.
Voto della redazione:
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