Ritratto di Camilla Maccaferri
Autore Camilla Maccaferri :: 22 Ottobre 2014
Locandina di Boyhood

Recensione di Boyhood di Richard Linklater. Uno straordinario viaggio lungo 12 anni nella vita di un ragazzo americano

When I'm lyin' in my bed at night
I don't wanna grow up
Nothin' ever seems to turn out right
And I don't wanna grow up
How do you move in a world of fog
That's always changing things
Makes me wish that I could be a dog
When I see the price that you pay.

Tom Waits

Ci sono moltissimi film che seguono la crescita di un personaggio dall’infanzia all’adolescenza, fino all’affacciarsi dell’età adulta, e oltre. François Truffaut ha dedicato addirittura una serie di pellicole al suo Antoin Doinel, da I 400 colpi (1959) a L’amore fugge (1978). Ma Richard Linklater con Boyhood è andato oltre ogni esperienza mai affrontata fino a questo momento: per dodici anni si è dedicato periodicamente alle vicende di Mason Evans Jr. (Ellar Coltrane), che si trasforma letteralmente da tenero seienne a spigoloso diciottenne sotto gli occhi dello spettatore.

Un flusso temporale solitamente imprendibile, al cinema, spesso costretto a scendere a compromessi, anche malriusciti, per accompagnare i suoi protagonisti durante la metamorfosi della crescita che Linklater trasforma in poesia quotidiana, raccontando la strana meraviglia di vivere senza bisogno di artificio alcuno, anzi lasciandosi trasportare dall’andamento naturale delle cose.

Mason Evans Jr. vive con la madre (Patricia Arquette, bravissima) e la sorella Samantha (la figlia del regista, Lorelei Linklater), mentre il padre, un rockettaro casinista e immaturo (Ethan Hawke) va e viene dalle loro vite. Tra traslochi qua e là per il Texas, nuovi e sfortunati amori della madre, fratellastri acquisiti, piccoli drammi scolastici e normali turbamenti esistenziali, Mason e Sam arrivano in un baleno all’età del college.

Quasi tre ore che volano leggere e commoventi al contempo, com’era già stato per La vita di Adele, che accompagnava la storia d’amore struggente e dolorosa di due ragazze, ma ancora più impregnato di vita, ancora più legato allo scorrere inesorabile delle giornate, una dopo l’altra, mentre i protagonisti cambiano quasi impercettibilmente, proprio come succede nella realtà quando ci accorgiamo delle trasformazioni di chi ci sta vicino un giorno, all’improvviso, epifania di un mutamento che avviene minuto per minuto, attimo per attimo.

Linklater ha un rispetto quasi sacrale per i suoi personaggi, che ritrae con delicatezza e verosimiglianza, senza mai indulgere nel sensazionalistico o ricercare il caso umano, ma tratteggiando, sconfitta per sconfitta, vittoria per vittoria, la quotidiana, talvolta tediosa, altre esaltante, avventura della vita. Il Texas che fa da sfondo alle vicende (la grande Huston, la sonnacchiosa San Marcos, la colorata e vivace Austin) offre le sue molte personalità, compreso il lato più redneck, campagnolo e bigotto, e racconta, nel mentre, la crescita e il cambiamento di quello strano Paese che è l’America. Dall’eco dell’11/09 fino alla guerra in Iraq, dalla ri-elezione di Bush Jr. alla campagna elettorale per Obama, che coinvolge attivamente la famiglia Evans, insieme a Mason è anche la sua nazione che muta, si interroga, si mette in discussione. E come fa il ragazzo una volta giunto all’Università, anche l’America si ferma a guardare il suo futuro, attendendo che prenda forma, trasformandosi in presente.

Straordinarie performance dei protagonisti: oltre ai piccoli – poi cresciuti – Coltrane e Linklater, un’intensa Arquette, anche lei mutevole nel corpo, dolente e terribilmente reale, e uno scanzonato Ethan Hawke, padre-ragazzino, più amico che genitore, collaboratore di lunga data del regista (la trilogia Prima dell’alba, Prima del tramonto e Before Midnight), perfettamente a suo agio nel ruolo.

[Leggi anche: Boyhood di Richard Linklater: Ovazioni da critica e pubblico]

Un’incredibile operazione concettuale, prima ancora che estetica, che si avvale anche, dulcis in fundo, di una bellissima colonna sonora pop-rock che segue l’andamento temporale (Flaming Lips, Arcade Fire), con una scena-cult, tributo del regista, musicofilo accanito, in cui Hawke masterizza per il figlio un “Black Album” con tutte le canzoni migliori dei Beatles da solisti.

Dal regista di commedie esili come Dazed&Confused e School of Rock, quasi un miracolo, giustamente premiato con l’Orso d’Argento al Festival di Berlino 2013. 

Trailer di Boyhood

Voto della redazione: 

4

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