La serie di film controversi passa attraverso tante classifiche, proviamo ad analizzarne un'altra con alcune sorprese
Di classifiche ne esistono tante quando si parla di film. Ma quando ci si apre al mondo delle opere più oscure troviamo top e altro di tutti i tipi.
La scorsa volta abbiamo citato film poco conosciuti accanto ad altri considerati dei classici arcinoti della storia del cinema, ancorché pochissimi in alcuni casi abbiano il coraggio di vederli (come per esempio il caso giustificabile di Salò di Pier Paolo Pasolini, davvero insostenibile… )
Proviamo adesso su questa falsariga a continuare il ragionamento con altre opere. Questa volta ci aiuta una top 100 di AMC, il canale statunitense che in questo settore che riguarda opere estreme se ne intende, basterebbe citare la prodotta serie zombie The Walking Dead giunta alla fine della quinta stagione e Breaking Bad, altro bell’esempio di celato splatter-horror quotidiano.
In questa lunghissima classifica che riprenderemo in una terza parte e oltre intanto proviamo a ragionare soltanto sui primi 5 titoli tra conosciuti ed altri meno conosciuti che stanno comunque nelle primissime posizioni e sono forieri già di parecchie riflessioni.
Iniziamo con Arancia meccanica (1971), sul quale forse non è il caso di spendere molte parole. Uno dei tanti capolavori di Stanley Kubrick rimane un’opera seminale per l’analisi del Male, sì proprio quello con la iniziale maiuscola, ma anche quello vicino all’ipotesi filosofica più accreditabile, quella della “banalità”, della grande maitre à penser Hannah Harendt. La prima posizione di Arancia meccanica non ci sorprende più di tanto, in fondo è un film straconosciuto e questo gioca a scalare posizioni nelle graduatorie di preferenza.
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Al secondo posto troviamo, per fortuna, un must assoluto, vale a dire Cannibal Holocaust (1980) di Ruggero Deodato. Per varie ragioni si tratta di quei film che per fortuna non si realizzeranno più ai nostri tempi. A parte il contenuto violento del film, Cannibal Holocaust tutto sommato è una fedele sintesi della spettacolarità degli anni settanta, fondata su elementi come maschilismo, violenza, brutalità, insensibilità. Come eravamo insomma, solo che prima lo vedevamo direttamente in un film ora invece... la situazione è molto più complessa. Del film ricordiamo una cosa curiosa. Quando Ruggero Deodato si presentò alla Mostra di Venezia qualche anno fa per il revival del film, in sala incontrò un gruppo di ostili animalisti. Deodato fu un signore, spiegò perfettamente la situazione: quando girò il film la sensibilità era molto diversa e scuoiare animali vivi era ammissibile. Insomma, oggi non ha senso prendersela con Deodato per quello che era accaduto nel set di Cannibal Holocaust.
Terza posizione per un altro capolavoro come L’esorcista (1973) di William Friedkin. Si tratta di quei film che ti rimangono impressi per alcune scene. Se pensate la stessa cosa avete indovinato: alcune sequenze di L’esorcista fanno parte dell’immaginario contemporaneo tra cui direi la testa che ruota a 360° gradi… nel corpo indemoniato di Linda Blair oltre al vomito, le parolacce e il crocifisso sbeffeggiato.
Quarto posto, anche qui per Salò (1975), sul quale abbiamo già detto. Vorremmo aggiungere che forse il film di Pasolini riassume più di ogni altra opera la presenza del male sulla Terra legata a un’umanità del tutto bestiale che purtroppo si traduce tout court in regime politico. Vi ricordano qualcosa le orge e i banchetti?
Chiudiamo questa seconda parte con la sorpresa al quinto posto di I spit on your grave (1978) ovvero Non violentate Jennifer, titolo originale Day of the Woman, di Meir Zarchi. La prima considerazione che ci viene in mente: come mai in questa top five troviamo tutte opere della stessa decade, i Settanta? È solo un caso o quell’ipotesi che abbiamo fatto prima, su certe caratteristiche della spettacolarità di quegli anni, ha davvero un peso determinante? Magari ci pensiamo su.
Intanto il film di Meir Zarchi è praticamente sconosciuto in Italia. Rimane un film osteggiato ovunque nel mondo, già quando uscì, sicuramente per la sua onestà riproduttiva di una violenza senza tanti veli e ipocrisie e la sequenza in cui si compie lo stupro è pure lunga circa trenta minuti. Eppure a suo modo la vendetta della protagonista femminile Camille Keaton è uno schiaffo diretto al maschilismo, una ventata destabilizzante allo spettatore maschio.
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