Oggi alle 18,30 "Lilith’s Hell" aprirà il Fantafestival di Roma, presso Multisala Barberini, alla presenza del regista Vincenzo Petrarolo e degli attori Ruggero Deodato, Joelle Rigolett, Marcus J. Cotterel, Federico Palmieri, Manuela Stanciu
Tutto quello che per intima coerenza non può essere il cinema indipendente italiano… Quando, come suggerisce la sinossi del film, tre ragazzi appassionati di cinema horror vogliono girare un mockumentary in onore di Ruggero Deodato e del suo capolavoro Cannibal Holocaust.
Come dimosta molta parte del cinema del nostro paese, vedi gli ultimi Argento (il totalmente metalinguistico Dracula 3D, accolto freddamente dalla critica, ma sublime tentativo di revisionare l’immaginario classico dell’horror), oppure Federico Zampaglione con Nero bifamiliare e Tulpa, al quale Petrarolo è molto più vicino di quanto si possa credere, la dimensione fantastica si è completamente assottigliata. O meglio, come dimostrano i modelli più noti, in primis Paranormal Activity, e anche The Blair Witch Project, sono quasi due decadi che lo sguardo non riesce a distendersi al di là delle mura domestiche: gli interni sono la superficie quasi millimetrica da osservare non con i propri occhi, ma da appurare con le solite videocamere collocate in perfetto ordine, ma dalle quali difficilmente si riesce a cogliere un fenomeno degno dell’immaginario fantastico tradizionale che sembra ormai lontano mille anni (a parte le varie rivisitazioni naïf tipo Tim Burton).
Così, da un lato demoni e indemoniati che si manifestano spesso in maniera surreal comica; dall’altra parte personaggi come riflessi, che si moltiplicano come presenze in luoghi fantasmatici della ripresa. È in questo continuo scivolamento trasversale che Lilith’s Hell trova la sua ragion d’essere, nello squilibrio, o meglio l’impossibilità di riconoscere quei segni terribili che non possono più essere luoghi ed oggetti di rappresentazione.
Come se lo spettatore fosse continuamente obbligato a non guardare il film, ma a sentirlo, per questo forse è anche meglio che alcune scene del film siano quasi del tutto oscure. Ma l’oscurità qui non rimanda al luogo ripreso, ma a quello spettatoriale come appunto in The Blair Witch Project. Il cinema italiano “de paura” ha compreso perfettamente la lezione “americana” e anche quella dell’Estremo Oriente, laddove ormai a livello mondiale le opere dedicate al fantastico oscillano tra una perfetta sceneggiatura in cui tutto è previsto fino al minimo dettaglio (sono soprattutto le serie a farlo, con in testa The Walking Dead, ma anche The Returned, Wayward Pines o anche Sense8, ma gli esempi potrebbero continuare a lungo con molti titoli), oppure come nella ricerca più difficile di quella vacuità, vero segno di fobia e angoscia. E qui si può considerare con coraggio e rispetto il tentativo di Petrarolo, in quanto consideriamo il suo film nella seconda categoria; quella più audace, che rischia anche di esser travolta da quelle forzature interpretative spesso irrilevanti e dagli immancabili effetti speciali, i trucchi e lo splatter, ma anche più autentica laddove sposa un misterioso percorso di ricerca che consiste nel non riuscire (più) a vedere davanti a sé la scena horror "tradizionale". Lo stesso percorso che forse ha portato Deodato alla realizzazione dei suoi capolavori.
[Leggi anche: Il Fantafestival di Roma festeggia i 40 anni di "Profondo Rosso" di Dario Argento]
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