In occasione del festival Made in Italy di Londra, Giovanni Veronesi ha rivelato la sua ammirazione nei confronti di Elio Germano, il suo scetticismo circa le possibilità di ripresa del Belpaese e i suoi bizzarri piani per il futuro
A distanza di pochi mesi si sono alternati nelle sale italiane L’ultima ruota del carro, film di apertura al Festival del Cinema di Roma e Una donna per amica con protagonisti Fabio De Luigi e Laetitia Casta. Dopodiché il regista Giovanni Veronesi è volato a Londra in occasione del Festival Made in Italy per presentare il suo lavoro oltremanica. Oltre a tessere le lodi degli interpreti dei suoi film, il regista toscano ha dimostrato un notevole entusiasmo per la vittoria agli Oscar de La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, senza risparmiare una critica a chi ha frainteso l’idea di base del film.
L’ultima ruota del carro ripercorre quarant’anni di storia, come Un Matrimonio di Pupi Avati trasmesso recentemente in televisione. Perché, secondo lei, è importante rappresentare la nostra storia dal punto di vista cinematografico?
Penso che sia importante per far capire alle nuove generazioni da dove vengono, che cosa ha generato questa attuale crisi culturale. Un film curioso come L’ultima ruota del carro può far capire come la corruzione a cui oggi abbiamo fatto l’abitudine provenga dagli anni Ottanta, con l’avvento dei socialisti. È fondamentale capire la genesi di questa sorta di limbo culturale che è diventato l’etica e la morale del nostro paese.
Ultimamente il nostro cinema è criticato per la presenza dei soliti attori. Quali sono i suoi criteri di scelta?
Elio Germano è l’attore italiano migliore attualmente in circolazione e non sono solo io a dirlo visto che a Cannes è stato premiato con la Palma d’Oro. Con lui sono andato sul sicuro. Alessandra Mastronardi era una scommessa che ho vinto perché aveva masticato poco cinema fino a questo momento e le sue esperienze professionali erano legate alla televisione. Per questo motivo c’erano diversi pregiudizi nei suoi confronti. Devo dire che durante il provino ha sbaragliato tutti ed ha ottenuto il ruolo in maniera meritocratica.
Che tipo di attore è Elio Germano?
È un attore molto scrupoloso. Vince con i suoi personaggi perché li lascia vincere. Per dirlo con le sue parole è “come quando vai a vivere in una nuova casa e pensi di prendere possesso di quell’ambiente mentre sei tu che stai entrando nella vita di quella casa, che ha una storia precedente di cui bisogna essere rispettosi e così anche dei personaggi che si interpretano”. In questo film poi Elio ha interpretato un personaggio realmente esistente e quindi il rispetto doveva essere ancora maggiore. Oltre al piacere di lavorare con un mio caro amico, per un regista dirigere un attore come Elio rende tutto più semplice e divertente.
La storia ricorda molto La Nostra Vita di Daniele Luchetti, di cui era protagonista lo stesso Elio Germano.
Sì, mi era piaciuto molto quel film. Però credo che questa volta sia stato diverso per Elio proprio perché si trattava di una storia vera. Ha conosciuto il vero Ernesto, è andato a casa sua e ha avuto modo di osservarlo attentamente. Alla fine è diventato Ernesto, stesse movenze, stesso abbigliamento, stessa voce. Ingenuo ma consapevole. Se lo conosceste non ne avreste dubbi.
L’amore è il motore d’azione di tutti i suoi film. È diventato regista per raccontarlo?
Direi per capirlo perché non capisco nulla (ride, n.d.r.). I miei film infatti non danno mai delle risposte. Sono film che pongono delle domande. Se gli spettatori potessero darmi delle risposte a quella domande, ne sarei grato (ride, n.d.r.).
Che ruolo hanno i festival e rassegne come questa all’interno dell’industria cinematografica?
Considero chi si occupa di cinema oggi con tutte le difficoltà economiche che ci sono degli eroi di altri tempi. Lo Stato italiano considera il cinema un semplice intrattenimento. La cultura non è ritenuta indispensabile. Non so ancora per quanto ci lasceranno organizzare festival. Fare una rassegna del cinema italiano a Londra mi sembra davvero un’impresa eroica.
Il pubblico di questa rassegna è principalmente costituito dalla grande comunità di italiani a Londra. Quanto è difficile secondo lei per un pubblico straniero entrare nei nostri schemi ed eventualmente comprenderli?
Evidentemente è molto difficile da una parte e facile dall’altra. L’esempio più lampante è sicuramente rappresentato da La Grande Bellezza di Sorrentino che, pur essendo così astratto, è riuscito ad aggiudicarsi un Oscar. Magari un film come il mio, basato su eventi reali, è più difficile da vendere all’estero e i produttori non se ne preoccupano neanche più di tanto. In tanti anni di carriera, nonostante abbia lavorato con decine di produttori, non ne ho conosciuto uno solo interessato a vendere i nostri film all’estero. Vengono fatte delle finte co-produzioni, raramente vere co-produzioni, oppure si affidano a delle società che vendono i film all’estero per racimolare quel poco che riescono a guadagnarci. Si tratta di soldi che non vengono neanche considerati.
In una precedente intervista, lei auspicava un “risveglio culturale” nella nostra società, crede che la vittoria dell’Oscar di un film che è l’esaltazione del vuoto culturale in cui siamo sprofondati, possa essere un piccolo passo verso questo risveglio?
L’Oscar ad un film italiano è sempre una cosa positiva anche perché ora tutti ne parlano sia in Italia che all’estero. Credo che questo sia stato in assoluto l’anno di Sorrentino nel mondo perché si parla forse più di lui che di 12 anni schiavo. È stato un grande trionfo perché ottenuto con un film difficile. Infatti la maggior parte degli italiani lo ha addirittura equivocato pensando che Sorrentino abbia fatto un inno alla città di Roma mentre la pellicola rappresenta quasi una sorta di cimitero culturale. Il sindaco di Roma Marino gli ha perfino conferito la cittadinanza onoraria a riprova del fatto che la maggior parte delle persone non ha capito nulla del suo film, in cui il deserto notturno filmato era quasi mortuario.
È al lavoro su qualche altra sceneggiatura al momento?
Io sono sempre a lavoro. Il mio desiderio più grande è chiudere la mia carriera come il caro e vecchio filmmaker, bevendo, fumando canne ed andando in giro per i boschi a filmare (ride, n.d.r.). In realtà non ho mai fumato e bevo pochissimo ma mi piacerebbe vedermi così. Dove mi accettano, lì vado (ride, n.d.r.).
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