Arrivata a Venezia per presentare il film "La Trattativa", che ha ricevuto un’accoglienza molto calda, Sabina Guzzanti ci ha rilasciato un’intervista in cui si è scagliata molto duramente contro il Ministero dei Beni Culturali che non l'ha appoggiata
La trattativa Stato-mafia non è più un mistero. A fare chiarezza ci ha pensato Sabina Guzzanti, che ha presentato il suo nuovo film, intitolato proprio La Trattativa, fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. L’abbiamo intervistata al termine delle proiezioni stampa accolte da un inaspettato entusiasmo generale.
La scelta dell'impostazione teatrale è dovuta al fatto che i processi stessi sono diventati dei teatrini?
Sì è vero, i processi sono molto teatrali. Io stessa, ascoltando le udienze su Radio Radicale, mi sbellicavo dalle risate. È tutto parellelo perché è un mondo parallelo quello della legge perché c'è Berlusconi che ha solo processi nella vita, la corruzione è tanto diffusa e ci siamo abituati a considerare i tribunali una difesa dei nostri principi. A me non sembra che lo siano. La legalità è un concetto molto misero rispetto al concetto di giustizia.
Qui a Venezia è stato presentato anche il film Belluscone, credi che i tempi siano maturi per trattare un tema come la trattativa Stato-mafia?
Fare questo film è stato molto difficile. Il fatto che sia stato realizzato anche Belluscone di Franco Maresco non significa che io abbia seguito una corrente. Il mio è un film che va completamente controcorrente. Il suo non l’ho visto ma non vedo l’ora di farlo.
Dedichi i lunghi applausi con cui è stato accolto il tuo film al Ministero dei beni e delle attività culturali che ha deciso di non appoggiare il tuo film?
Penso che siano episodi con cui ogni italiano si confronta. Il mio film doveva essere a Venezia già dall’anno scorso ma non avevo i soldi per finirlo perché è tutto girato con il green screen. Questo significa che per mantenere l’unità di luogo le scenografie sono fatte con dei modellini che poi sono stati applicati sul verde e per farlo ci vogliono degli effetti speciali che hanno dei costi. Per finire il film ho chiesto i soldi al Ministero ma ci sono stati negati. La cosa più paradossale è stata non concederci l’interesse culturale, che generalmente viene concesso pure ai Vanzina. Questo mi ha fatto molto incazzare ma non c’è da meravigliarsi visto che in commissione c’era la moglie di Antonio D’Alì che era stato appena assolto in primo grado per gravissime accuse di mafia.
Ha dichiarato che il suo film è per tutti coloro che non aprono un giornale. Non crede che per gli altri il contenuto del suo film sia risaputo?
Finora non c’è stata neanche una persona che l’ha trovato risaputo. Anche i giornalisti specializzati, compreso Travaglio, sono rimasti impressionati dal mio film. La vera questione del film è stata raccogliere una serie di fatti, verbali, testimonianze e farne un racconto oltre che una ricostruzione. Non so chi possa trovarlo risaputo, forse qualche saputone.
Crede che le persone che generalmente non aprono un giornale possano avere la curiosità di andare al cinema a vedere il suo film?
Questa è una domanda che potremmo porci per ogni film. Io credo che il mio sia un film di grande interesse culturale.
Non ha pensato che la sua imitazione di Berlusconi potesse essere un po’ troppo ripetitiva, considerati i suoi trascorsi televisivi?
Assolutamente no. Ho pensato che in quel momento mi serviva Berlusconi e non potendo usufruire di quello vero l’ho interpretato io. Credo che sia un bel momento.
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