L'accordo di ANICA e Ministeri del 2004, diventa effettivo e apre le porte alle co-produzione
Grande impennata in accelerazione per gli accordi audiovisivi con la Cina: erano in ballo da un po' di tempo poiché, lo ricordiamo, la prima firma riporta la data del 2004, quando al tempo sembrava una manovra futuristica tentare di stipulare un ponte cinematografico (e televisivo) Cina-Italia. L'entrata in vigore dell'accordo, il concretizzarsi cioè di quelle idee stese nero su bianco nel lontano 2004, è avvenuto solo nel 2013, sebbene nel 2012 qualche risultato appariva fiducioso all'orizzonte.
Maurizio Sciarra aveva annunciato la sua collaborazione con Ni Zhen (Lanterne Rosse) per la stesura di Everlasting Moments, in coproduzione con CCTV6; Paolo Logli e Alessandro Pondi erano in rapporti con Tianjin TV per Hibiscus. E sotto un altro fronte, Cristiano Bortone si posizionava dietro la cattedra di produzione presso la Beijing Film Academy, oltre ad altre frequentazioni produttive (in particolare, con Road Pictures).
Ciò che è avvenuto a Pechino in data 19 giugno scorso, è la svolta attuativa che si attendeva quindi all'incirca da dieci anni. Una manovra concreta che ANICA e i Ministeri di entrambe le parti coinvolti siglano, con il primo grande obiettivo di fare ottenere la “cittadinanza” rispettiva ai film co-prodotti: questo si converte nella possibilità di accedere alle agevolazioni fiscali previsti da entrambi i Paesi e aggirare lo spauracchio delle quote di film stranieri distribuiti in sala, previsto dal rigido regolamento della nazione asiatica (poiché, appunto, un film a identità nazionale non è calcolato all'interno del numero massimo di film esteri ammesse nelle sale). A seguire,
"agevolazioni fiscali e pratiche per girare in Italia, possibili location e partner per girare film in Cina, investimenti produttivi e formativi reciproci, 'pacchetti' di storia del cinema italiano da proporre per la distribuzione in sala e lo sfruttamento sulle moderne piattaforme per la rete e la telefonia mobile" annuncia Riccardo Tozzi, presidente di ANICA.
Certo l'Italia nella fattualità di questo rapporto con la Cina arriva un po' in ritardo; non è tra gli ultimi, ma non è neanche tra i primi. Non stiamo neanche a citare il caso di Hollywood, che viaggia su binari che a piccole cinematografie come la nostra, sono del tutto esclusi. Non stiamo a citare il caso francese, che è pioniere per questo settore e per l'Europa. Ma, prendiamo gli inglesi: l'annuncio dell'apertura alle coproduzioni e dell'ottenimento della doppia cittadinanza filmografica è di aprile. Lasciamo poi perdere i Coreani, che sguazzano nei fondi cinesi già da un po' anche in via non ufficiale...
Come mai questa corsa alla Terra di Mezzo? Qualche numero: il cinemabiz cinese ha registrato una crescita di oltre 25% negli ultimi dieci anni; il box office del 2012 ammontava a 2.7 miliardi di dollari, che puntano a duplicare nel 2017. La piattaforma distributiva conta non solo una sala cinematografica ogni 300.000 abitanti, ma anche i portali online di video on demand e streaming che muovono qualche milione di click.
Per andare a fondo del massiccio fenomeno, bisogna meglio mettere a fuoco alcune situazioni contingenti che fanno della Cina un terreno produttivo e distributivo del tutto particolare. Infatti, la stipula dell'accordo è sì una promessa di facilitazione commerciale al settore, ma non si può negare come si avvertano ancora alcune lacune: prima di tutto, bisogna considerare come dal principio dell'esplosione di contenuti che ha invaso la Cina, al secondo pubblico pagante al mondo sia stata offerta una varietà distributiva filmica estera ben limitata. Questo ha comportato un proliferare di produzioni in due maggiori direzioni: commedie e film di effetti speciali. In queste includiamo anche il cinema della risata e delle scazzottate da arti marziali.
La sterilità distributiva (di film esteri) è dettata soprattuto dal rigido controllo censorio operato a monte, che fa sì che l'importazione di film si fissi solo su temi politically correct: in altre parole, in Cina si accede non con una offerta varia, sperimentale, artistica, o di eccezionale valore quanto riconosciuta dai festival, ma con ciò che il Governo ammette.
In secondo luogo, e di conseguenza, il pubblico che attende queste potenziali nuove co-produzioni, è numericamente vasto quanto qualitativamente diseducato, o meglio educato a blockbuster e popcorn come si diceva sopra. Esisteranno, tra questo popolo di paganti, delle nicchie interessate a vedere l'Italia in tutte le sue forme al cinema: infatti, il Bel Paese esiste nell'immaginario cinese, ma mediamente come luogo del romanticismo, dell'arte e del fascino della cultura (oltre che del calcio, della pizza e della macchine sportive...!). Tuttavia, nicchie più acculturate, richiamo la cinematografia italiana dei floridi anni Sessanta-Settanta, e non dobbiamo che ringraziare De Sica, Fellini e ovviamente Antonioni se qualcuno si ricorda che in Italia si producono film, e pure belli. Benigni ha dato una rispolverata alle menti sopite, ma, se speriamo che il recente Oscar di Sorrentino abbia fatto breccia definitiva nel cuore dei cinesi, ci sbagliamo di grosso. Insomma, la conoscenza del cinema nostrano moderno è davvero limitata e fino ad oggi, per niente o quasi supportata da quelle istituzioni che dovrebbero educare il pubblico con gli occhi a mandorla a conoscere, apprezzare e di conseguenza ricercare le produzioni di questi anni.
Timide collaborazioni sono state avviate con il Beijing International Film Festival e con il competitor di Shanghai: ma, fuori dai tappeti rossi, di Italia non parla quasi nessuno. Mentre la Francia porta il suo Panorama du cinema français nelle maggiori città della Cina da circa (tenetevi forte) dieci anni, con biglietti di ingresso ridicoli e promozioni per gli studenti; mentre l'Olanda (addirittura!!) già l'anno scorso aveva reso gratuitamente disponibili online sulla piattaforma Youku-Tudou, venti delle migliori produzioni passate (tra cui anche Kauwboy) totalizzando più di un milione di visite; mentre il Goethe Institut sta diventando ormai un appuntamento fisso nella proposta cinematografica selettiva del KINO; ecco, mentre tutto questo accade, l'Italia si fa viva appena nelle maggiori città, ma lascia il resto della Grande Cina al buio.
Evidenziata questa necessità di supportare contestualmente anche l'educazione del pubblico, che in forma teorica dovrebbe anticipare la presenza del prodotto al fine di crearne la domanda – e che è in progetto nel nuovo accordo, ce ne rallegriamo -, quali potrebbero essere le prospettive future?
È probabile che il trend vedrà soprattutto in principio l'Italia accogliere produzioni cinesi ad alto budget unicamente interessate alle location e a quell'Italia un po' stereotipata, si veda la lista di cui sopra. Il che va benissimo; ma, siamo onesti: questo gravita tendenzialmente a distanza dal “buon cinema”, e più felicemente in zona prodotti commerciali dove il product placement la farà da padrone a discapito di altro. Con un occhio voltato al commercio e al ri-lancio dei settori forti (in termini “cinesi”), quindi moda, gastronomia, lusso, turismo, questa è una vera e propria manna dal cielo e non possiamo che sfregarci le mani. Ma, in questa sede siamo costretti a riflettere anche in considerazione di quella che potrà essere la produzione artistico-cinematografica: ci sono garanzie che usciranno prodotti eccezionali da questo connubio? Ci sono garanzie che i nostri prodotti di qualità trovino spazio nei teatri cinesi? No, alcuna.
Il cinema di facile digestione commerciale, votato all'educazione del consumatore, è improbabile che apra le porte alla profondità dei contenuti o alla sperimentazione artistica e linguistica. Confidiamo in un ribaltamento, mettiamola così. Confidiamo che si avviino produzioni parallele a quelle mastodontiche, magari dedicate alla televisione, che in Cina è potente e più generalista del grande schermo, per indagare gli aspetti culturali, sociali, problematici e che possano quindi, di fatto, fornire non solo opportunità produttive ma anche ricchezza di contenuti. Confidiamo che altri film di firma nazionale, allineandosi alle politiche censorie, trovino un cantuccio per essere proiettati, amati e richiesti. Confidiamo che le future produzioni, ma di un futuro non troppo remoto, vadano oltre i panorami scontati da cartolina, che di ricchezza artistica l'Italia ne ha da vendere ed è solo in disperata ricerca di disponibilità economica e distributiva per concretizzarla.
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