In pochi giorni sono state 200 milioni le visualizzazioni al documentario "Under the Dome" di Chai Jing, annunciatrice della tv cinese che al Governo non gliel’ha mandata a dire
È uscito sabato e si è diffuso rapidamente, con un passa parola le cui dimensioni esponenziali sono raggiungibili solo in un grande Paese come la Cina: un cinese su tre insomma, ne ha visto almeno un pezzo. Si tratta di Under the Dome, un documentario virale a tema inquinamento atmosferico, firmato da un volto stranoto della CCTV cinese, la conduttrice Chai Jing.
Perché una aitante signora di mezza età con uno stipendio e una posizione sociale da fare invidia ai più, si è messa in testa di produrre un documentario e per lo più su uno dei temi più caldi della Cina del 2015? È la sua storia personale che l’ha spinta a trattare questo tema e a rispondere a tre domande, ovvero “che cos’è l’inquinamento, da dove viene e cosa si può fare”. Quello che, infatti, è successo a Chai Jing è aver visto la propria figlia salvata da un tumore benigno diagnosticato ancora in fase pre-natale. Come può una bimba non ancora nata soffrire di un male così tremendo?
Secondo Chai Jing, la risposta sta nell’aria che la madre ha respirato per tutta la sua vita nel cuore della Cina mineraria, lo Shanxi, e poi nella grande capitale, arrivando a trasmettere alla propria creatura una pesante eredità. Un’aria che però la piccola, poi, ancora dovrà respirare.
Tralasciando la polemica viva che circonda la figura di Chai Jing, il documentario si sviluppa evidentemente sulla falsa riga di An Inconvenient Truth, una (TED) talk dove la Jing illustra montagne di dati per ribadire o chiarire la disastrosa situazione di dipendenza dal carbone della sua nazione. Abilmente strutturato e reso accessibile ad un vasto pubblico, Under the Dome si serve di grafici, materiali d’archivio della stessa giornalista (che ha un passato di inchieste anche in ambito ecologico), animazioni, interviste e commenti. Il video punta il dito contro una politica fallimentare pur senza riferirvisi direttamente; accusa inoltre le lobby che gestiscono questo business anti-ecologico e gli enti di controllo a loro volta invischiati. Tuttavia, è tale la scaltrezza sua e del suo team di navigati operatori dei media che fino ad oggi il video è ancora online sui maggiori siti di streaming di tutta la Cina. Con un dribbling astuto, infatti, si condanna senza rivolgersi così direttamente al Governo centrale, che di fatto di tutto questo muove le fila.
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Ciononostante, più che di una regista graziata pare si tratti di una manovra che rientra negli intenti del Governo, a pochi giorni dal cambio di pilota alla guida del Ministero dell’Ambiente: fuori il vecchio, il nuovo si è subito prodigato per complimentarsi con Chai Jing per il lavoro fatto. In altre parole, la Cina non può più rimandare oltre il problema e questo segnale di avvicinamento al prodotto di Chai Jing sembra una prima presa di responsabilità. In ogni caso, i numeri parlano chiaro: se in 200 milioni l'hanno visto, è evidente che il pubblico cinese sia interessato alla causa, forse perché come la regista, respira la medesima aria e vive nello stesso turbamento.
Se volete visionare il documentario, un team di benefattori lo sta sottotitolando in questi giorni. Si spera quindi a breve di penetrarne i segreti interamente.
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