Recensione di Land of mine - Sotto la sabbia | La morte sotterranea nelle coste danesi
Recensione di Land of mine - Sotto la sabbia | Il film danese, che racconta una delle storie meno note della WW II, nel primo giorno d'uscita, il 24 marzo, devolverà gli incassi agli ospedali di Emergency per le vittime di guerra in Afghanistan
Tragedia madre del Novecento, la Seconda Guerra Mondiale non ha ancora smesso di essere inevitabile s/oggetto protagonista di molte riflessioni cinematografiche contemporanee e ciò nonostante nasconde tuttora storie ai più sconosciute e nascoste. Il regista danese Martin Zandvliet riporta alla luce il periodo immediatamente successivo al conflitto, quando i prigionieri di guerra tedeschi, colpevoli principali da demonizzare, furono spediti a disinnescare milioni di mine anti-uomo, sotterrate nelle coste della Danimarca.
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Che si trattasse di ragazzi, dai 15 ai 18 anni, che con la guerra avevano avuto poco a che fare, allora non importava: Zandvliet, autore anche della sceneggiatura, si pone il dilemma del “trattamento” – nel doppio senso drammaturgico e morale – dei presunti cattivi, di uomini inconsciamente ir-responsabili di rappresentare in sé il male perpetuato dal regime nazista. Attraverso lo sguardo inizialmente intollerante e vendicativo del sergente protagonista – che opera da subito uno scomodo spostamento di ruolo, ma un facile e scontato riconoscimento del vero cattivo in scena – si assiste così al ribaltamento delle sorti con i (giovanissimi) tedeschi penitenti dalla parte delle vittime.
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Rischiando più volte lo scivolamento verso una retorica della pena e uno sviluppo tristemente prevedibile, la scrittura piatta di Land of mine – Sotto la sabbia, che purtroppo nella traduzione italiana perde la tragica poesia dal doppio senso del titolo originale, può affidarsi a uno stile registico solido e a tratti suggestivo, risultato dall'interesse (dichiarato) di Zandvliet ai personaggi più che alla trama, ai loro tratti fisici ancora incerti e feriti, ai volti spaventati di bambini lontani da casa.
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E sebbene il ritmo pulsante della pellicola sia scandito dall'alta tensione delle potenziali e improvvise esplosioni delle mine, spingendo anche troppo l'acceleratore sul gioco violento e spietato del who's next, Sotto la sabbia guadagna e vive del contrasto tra la guerra sotterranea che continua nelle menti e nelle vendette e la pace che lentamente fa il suo ritorno da un fuori campo lontano, che riecheggia negli spettacolari paesaggi occupati solamente dall'uniformità delle dune di sabbia e dal mare, grazie alle riprese nel campo danese Oksbøl dove si svolsero storicamente gli eventi raccontati e alla fotografia della moglie del regista, Camilla Hjelm. La fragile salvezza messa in atto alla fine è così malinconicamente disillusa e sognante da riequilibrare difetti e sproporzioni di un film all'apparente ricerca della tensione costante ma profondamente votato all'inquadratura, visiva e introspettiva, dell'uomo in fuga dal male che egli stesso ha sedimentato.
Voto della redazione:
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