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Autore Giulia Marras :: 10 Ottobre 2016
Locandina di Neruda

Recensione di Neruda di Pablo Larraín | Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes e candidato cileno per gli Oscar, Neruda è la meravigliosa conferma che Larraín è uno dei registi più importanti e preziosi del panorama contemporaneo

“Pablooo”!
Il grido dell'ispettore Peluchonneau (Gael Garcia Bernal) che richiama il poeta Premio Nobel nell'ultima parte della “favolosa fuga” di Neruda, il personaggio secondario che insegue il protagonista, nel tentativo di riemergere dall'abisso letterario e dall'oblio della Storia che verrà, quella cilena, ancora una volta, nel 1948 di Gabriel González Videla, su cui già incombe dal futuro l'ombra di Pinochet, potrebbe essere rivolto anche al regista, Pablo Larraín, un urlo commosso e disperato per lasciarsi finalmente includere nella trama principale, per emergere dal “foglio bianco”, dal voice over a cui è stato relegato, nel momento in cui sta per raggiungere il ricercato, forse il suo doppio, forse il padre che non ha mai avuto, forse il suo autore. E “Pablo!” è il grido anche nostro, spettatori ancora incantati ancora mai delusi dall'universo cinematografico che Larraín sta costruendo, sempre più lucido, sempre più rischioso e libero, un discorso quanto mai consapevole sulla forza del potere artistico contro il potere politico.

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E con Neruda, in cui il potere filmico incontra quello poetico, Larraín tocca il suo apice, non raccontando semplicemente la storia del poeta, ma riscrivendo per immagini i suoi “versi più tristi” e passionali, furiosi e sognanti, attraverso un montaggio istintivo, “borgesiano”, come lo stesso regista l'ha definito, di un esilio, quasi necessario per la creazione del mito di Neruda, che prende le pieghe di una caccia poliziesca, poi di un mistero noir e infine di uno “scontro” western. Larraín ricostruisce la fuga (e la figura) di Neruda (Luis Gnecco) mascherandola di finzione, come con la rear projection che sovente invade il quadro; una finzione urlata che restituisce la forma del sogno, come il poeta stesso ricordò il periodo dell'esilio nel discorso per il Premio Nobel del 1971 (“non so se l'ho vissuto o l'ho solamente scritto o sognato”). 

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Non è certamente un biopic, non è neanche un'epica celebrativa: Neruda è mostrato in tutte le sue contraddizioni di poeta, marito e uomo politico (rispecchiando le stesse del Partito Comunista); era un edonista, un militante improvvisato, orgoglioso e spesso sconsiderato, il protagonista primario di tutte le sue narrazioni; ma era selvaggiamente umano come la poesia che declamava, il Canto General che dai bordelli si elevava in tutto il Cile. La sua umanità è quella che Peluchonneau, rigido uomo di Stato, cerca di raggiungere perdutamente, un'umanità che costituirà il sogno politico sfiorato con Allende e che si contrappone alla violenza ottusa della politica cilena. Attribuendo una forma cinematografica alle lotte di Neruda e del Cile – i travestimenti costanti di Pablo, l'attraversamento dei generi, i riferimenti all'Hollywood degli anni '40 e alla nouvelle vague – così Larraín è in grado di comporre il suo “Yo Acuso” cinematografico definitivo.
Probabilmente il film dell'anno.

Trailer di Neruda

Voto della redazione: 

5

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