Recensione di Take Five | L'heist movie diretto da Guido Lombardi si sgretola nel secondo tempo
Recensione di Take Five - L'opera seconda di Guido Lombardi è un heist movie dalle facce giuste e dai toni cromatici ben confezionati, ma penalizzata da una sceneggiatura che si perde in troppi dialoghi e digressioni da camera
Guido Lombardi si allontana dai tratti neorealisti e drammatici del suo precedente Là-bas e si butta nel racconto corale di un heist movie, unendo in un unico pacchetto Le Iene, I Soliti ignoti, ma anche i Coen e Gomorra. Riferimenti inevitabili quando si attraversa un genere così collaudato cercando di mixare la tragicommedia con certe sfumature di grottesco, un percorso tortuoso dove il cineasta guida barcollando a zig zag, forse indeciso sulla meta o comunque in un evidente stato di disagio.
Non un'opera priva di fascino Take Five, che anzi ha a disposizione 5 volti perfetti per un colpo di questo genere, facce che avrebbero goduto della loro gloria nel bis italico, tra villain stonzi e anti-eroi, piccoli perdenti e lineamenti granitici. Così, Lombardi approfitta dei primi minuti per presentarceli: ecco il gangster sull'orlo della depressione, il pugile squalificato e senza più possibile carriera, il fotografo ex rapinatore, il malavitoso ricettatore e l'idraulico col vizio del gioco. Li ritroveremo complici di un colpo in banca, destinato però a finire nel disastro.
Al regista il merito di una cura particolare per la cromatica, le ombre e i chiaroscuri, sottolineando la sua attenzione verso la confezione estetica dell'opera; un fatto, questo, da non dare per scontato nelle produzioni italiane, dove gran parte dei direttori della fotografia sembrano essersi messi d'accordo per usare tutti le medesime luci ed effetti, col risultato di appiattire le produzioni più mainstream. A mancare, in Take Five, è però una solida sceneggiatura che sappia mantenere fino alla fine le suggestioni che intende evocare. Tutti i limiti escono fuori nella seconda parte, prevalentemente ambientata in interni come fosse un dramma da camera; è qui che vengono testati i dialoghi, i quali si rivelano privi di compattezza nello stesso istante in cui paiono sgretolarsi nelle tante – troppe digressioni verbali che l'autore mette in scena, sfumando lentamente ma con inesorabile stanchezza fino a evaporare. Un peccato, perchè il film aveva le carte in regola per essere qualcosa di esplosivo e persino doloroso, eppure Lombardi si accontenta di volare in superficie, facendoci annusare i seducenti odori del noir ma senza riuscire mai a immergersi totalmente nelle sue viscere.
Voto della redazione:
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