Recensione di Fino a qui tutto bene | L’appartamento pisano di Roan Johnson
Recensione di Fino a qui tutto bene di Roan Johnson: Commedia generazionale presentata nella sezione Prospettive Italia del Festival di Roma 2014, fresca, vitale e malinconica
Eravamo cinque amici in una delle città più belle d’Italia: “poveri illusi” come la sghemba compagnia teatrale messa su tra sbronze, infatuazioni e belle speranze, e che ha avuto una vita breve e senza domani; ma sugli anni del cazzeggio libero e degli scambi fluidi di passione di un gruppo pisano di coinquilini, nelle afose ore di un’ultima estate, si chiude per sempre la porta dell’appartamento in cui hanno vissuto tutto questo. Un appartamentino da liberare nel giro di pochi giorni, sbarrando definitivamente la sensazione d’avere “tutta la vita davanti” con il pesante catenaccio dell’imminente vita adulta, delle responsabilità insfuggibili e di una maturità ancora in carburazione davanti a una prospettiva di futuro silenziosa e imperscrutabile come le stanze vuote che lasciano.
Il secondo film di Roan Johnson (I primi della lista) fin dalle battute iniziali mostra di voler carpire quanta più verità e freschezza possibili dai suoi interpreti, peraltro perfettamente sintonizzati e in sincronia comica continua, con tocco ansiosamente vitale e fremente di realismo, tanto che non sorprende – anzi, è più che altro una conferma – che la genesi del progetto avesse, e abbia mantenuto, un’impronta documentaristica.
L’ultima giornata delle cinque simpatiche canaglie si muove tra luci accecanti e ombre cupe, un’altalena di accadimenti ed emozioni in cui si gettano, per l’ultima volta, con febbricitante esagitazione: il ricordo di un amico scomparso, la tensione fra una coppia che dovrà separarsi perché lui ha trovato lavoro in Islanda, un frenetico abbraccio commosso sotto la doccia, gravidanze improvvise, incertezze viscerali, proposte last minute e il taglio (?) del cordone ombelicale di una storia d’amore che insiste dolcemente a tormentarci (cameo della sempre deliziosa Isabella Ragonese).
[Leggi anche: "Fino a qui tutto bene" di Roan Johnson al Festival del film di Roma]
Fin qui tutto bene ha tutti i crismi e le smussature del film “carino”, che vuol piacere – e piace –, che vuole bene alle piccole intimità che crea, alla leggerezza ultraminimale e alla spontaneità che setaccia nelle bravate sorridenti dei protagonisti; unisce ansie generazionali sfumandole sullo sfondo di una ostinata allegria, sfrega sulla superficie di problemi reali senza volutamente immergercisi (forse sapendo di rischiare, come in qualche scena, l’approssimazione sbrigativa) ma piuttosto creando un quadretto, cristallizzando un momento irripetibile quanto sospeso e transitorio. E per un’ora e venti che scorre placida e accogliente, anche grazie a una combriccola di attori (Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Guglielmo Favilla, Melissa Anna Bartolini e Silvia D’Amico) che sembrano, davvero, autenticamente, amici da sempre, la pellicola fa sentire anche noi parte di quella scombiccherata compagnia che si dice addio.
Voto della redazione:
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