Recensione di Tomorrowland - Il mondo di domani | Il futuro vintage di Walt Disney
Recensione di Tomorrowland - Il mondo di domani di Brad Bird con George Clooney| Il secondo live action del regista di Ratatouille parte con speranze dal tipico timbro Disney ma le cadute di sceneggiatura corrompono il messaggio sul nuovo Futuro
Chiariamo subito: il futuro non esiste più. O meglio, l'idea che l'uomo si era fatto per il futuro è ormai del tutto evaporata sostituita da una realtà, tecnologicamente avanzata sì, ma in attesa costante del prossimo cataclisma. Un'idea di futuro che deriva da un enorme immaginario letterario e cinematografico - costituito da nomi che già ben conosciamo, da Philip K. Dick a Spielberg, da Fahrenheit 451 a Star Wars, solo per citarne alcuni - e che ha progressivamente lasciato il posto prima all'apocalisse e poi a mondi in cui l'entropia e la distopia convivono ormai nella realtà, tra guerre, sovrappopolazione, catastrofi naturali e imminente fine del mondo. E' proprio questa dualità di visioni - il futuristico e il realistico - che Tomorrowland mette in scena, partendo da un'idea di futuro che proviene dal passato, quella partorita dalla mente creativa e futurista per eccellenza, Walt Disney. Disney aveva infatti incapsulato il suo futuro ideale nel progetto, mai concluso, per la creazione di una città utopica che avrebbe risolto i problemi e conflitti esistenti nella società; "un posto libero da politica, burocrazia e avidità". Sviluppato dalle maggiori intelligenze scientifiche e creative del pianeta, tale Mondo di Domani prende vita nel secondo live action di Brad Bird, già alla regia Mission: Impossible - Protocollo Fantasma, dopo i piccoli capolavori di animazione Gli incredibili e Ratatouille.
La premessa, ambientata nell'Esposizione Universale del 1964 di New York, introduce spielberghianamente il primo piccolo sognatore, tra i vari protagonisti della pellicola, con una presentazione visiva all'universo di Tomorrowland tipicamente disneyana. Col passare del tempo, diegetico e non, purtroppo saltano fuori le falle, che probabilmente hanno solo un nome: Damon Lindelof, che firma la sceneggiatura. Certe scivolate abbiamo imparato a riconoscerle subito, da Lost (sì, la botola c'è anche qui) a Promotheus, le quali spesso hanno rovinato un ottimo concept di partenza con semplicismi e banalità che lo spettatore adulto non può accettare. Lindelof è un fan boy che ancora non si slega dai suoi maestri, ripercorrendone fedelmente i passi senza innovarsi nè rischiare di cambiare strada. Così Casey (Britt Robertson) rimane la classica eroina riluttante mentre Frank Walker (Clooney, poco convinto egli stesso di ciò che sta facendo) è il solito ex eroe arreso divenuto scorbutico mentore; unica presenza felice quella della robotina Athena che equilibra il trio con cinismo da androide e dolcezza fiabesca.
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Se da una parte non mancano le sequenze spettacolari, come la divisione in due della Torre Eiffel per il lancio del razzo nascosto al suo interno, dall'altra manca la continuità e la solidità del discorso al cuore di Tomorrowland, risolto nel finale con salti mortali dialettici, che eppure esiste: come possiamo rimediare alla fine del mondo, che noi stessi abbiamo contribuito a distruggere? E come non può essere una questione di proiezioni, prospettiche e cinematografiche, di ciò che scegliamo di vedere e quindi accettare? Il futuro è solo una visione: basta scegliere cosa si vuol vedere. Forse, andare oltre il distopico, come genere filmico e come aspettativa del reale, significa salvare, una per tutte, il mondo (e il cinema).
Voto della redazione:
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