Livornese e appassionato di conflitti di classe, Paolo Virzì racconta la sua Toscana in 5 opere indimenticabili. Eccole, fino all'ultima commedia presentata a Cannes 2016: "La pazza gioia", con Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti
La sua non è la Toscana dei cornetti Algida e delle vacanze vanziniane stemperate solo dalla malinconia di un acquazzone sulla spiaggia, ai primi di settembre, sulle note di Gino Paoli. Eppure la riviera diventa ingrediente, oggetto e complemento dell’ultimo virziano La pazza gioia in un on the road che mescola Versilia, bellavita, discoteche, sindromi bipolari, Citalopram e degrado. Generalmente, però, la Toscana di Paolo Virzì è quella dietro le quinte, che dimentica gli scorci di Camera con vista, di Ritratto di signora o de Il paziente inglese per concentrarsi sul proletariato delle periferie, i problemi di lavoro, le auto che finiscono la benzina e i cortili rumorosi delle famiglie operaie. Ogni sguardo riesce a essere unico e irripetibile, perché le sfaccettature di una terra contraddittoria e disomogenea si rispecchiano in modi sempre diversi. Ecco, dal più al meno recente, i film di Virzì che raccontano la “sua” Toscana senza che nessuno si aspetti necessariamente campi di girasoli, affreschi di Giotto o neanche quella bellezza violenta che ti coglie mentre attraversi Ponte Vecchio.
1 - LA PAZZA GIOIA (2016): Thelma e Louise dagli anni ’90 hanno perso completamente la loro lucidità e adesso preferiscono sfrecciare a caso, alla ricerca di quella felicità che “sembra non stare in nessun posto”. Le Toscane di Virzì sono diverse e corrono in parallelo; la campagna, la messa (con il prete nero), la villa decadente che ospita le “ragazze difficili” contralta con le strade punteggiate di pioppi, olmi e platani (vagamente in mood “Il sorpasso”), con la vita di provincia tra Lucca e Pisa, le discoteche dei tamarri, gli alberghetti a ore, le spiagge, la gente che si riversa nei centri e sulla battigia della Versilia. Cartoline e squallore malinconico, con qualche sprazzo anche del Carnevale di Viareggio, per la storia di due donne tra fuga e ricerca.
2 - LA PRIMA COSA BELLA (2010): Livorno e dintorni per un’altra dramedy (che ha sfiorato gli Oscar) sul rapporto madre-figlio e sul problema di avere una mamma bellissima, esuberante, brillante, tanto da odiarla. Il film si apre nel 1971 con una Livorno balneare, frivola ed estiva che sta per eleggere Miss Pancaldi ai bagni omonimi. Livorno e il popolo dominano la storia sul contesto di una provincia maschil(ista) che non capisce la femminilità prorompente e l’autenticità della figura chiave del racconto.
3 - BACI E ABBRACCI (1999): la location è un casale di campagna nei pressi di Cecina, appartenente a una famiglia di ex operai ora allevatori di struzzi. Si aspetta un ospite per Natale (un Assessore che conferirebbe i finanziamenti della Regione) ma poi tutta la storia si costruisce sull’equivoco di uno scambio di persona. La provincia toscana e una Livorno che torna ancora in modo indiretto sono congelate nell’erba gelata dell’inverno, quando la bellezza degli esterni si riporta nelle quattro mura tra grandi pentole, soffitti alti e livori familiari. Anche in Baci e abbracci vedi la Toscana che non ti aspetti.
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4 - OVOSODO (1997): il titolo prende il nome da un rione popolare di Livorno, quello dove nasce e cresce Piero, lacerato da una famiglia problematica e “salvato” solo dalla letteratura. La città operaia, completamente e fieramente operaia (Pietro alla fine troverà lavoro in fabbrica) si pone come contesto attivo dell’incontro e scontro di classe con Tommaso, compagno di scuola svogliato e ricchissimo. Finisce così, con una serenità strozzata “ho un magone, come se avessi un uovo sodo dentro che non va né su né giù, ma che ormai mi fa compagnia come un vecchio amico”.
5 - LA BELLA VITA (1994): Le acciaierie di Livorno costituiscono l’incidente scatenante di questa commedia agrodolce che racconta la parabola di una neocoppia devastata dalla perdita del lavoro di lui e dalla depressione di lei. Gli splendori e le frustrazioni della città operaia sono incarnati negli anni degli scioperi, della Cassa Integrazione, dei licenziamenti. Ecco che lo sfondo diventa attore e la famiglia in crisi rispecchia una città alla deriva per un lavoro impossibile da regolare. La Ritmo della scena iniziale fonde miseria e poesia per il matrimonio di una coppia che si era conosciuta nel 1989, quando l’industria andava a mille e la crisi siderurgica del 1992 era ancora lontana. Livorno e la Toscana proletaria di Virzì diventano cartina tornasole dei tempi.
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