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Autore Pierre Hombrebueno :: 29 Agosto 2014

Presente a Venezia con il suo nuovo film ("Dearest"), abbiamo intervistato il grande autore hongkonghese Peter Chan, già autore di rinomate pellicole come "The Warlords", "Perhaps Love" e "Comrades: Almost a Love Story"

Peter Chan

Alcuni dei più grandi registi hongkonghesi sono celebri per un genere. Stephen Chow lo è certamente per la commedia, John Woo per l’action, Johnny To per il noir. Peter Chan invece, è uno che li ha praticamente attraversati tutti, dal romance di Comrades: Almost a Love Story al musical di Perphaps Love, senza dimenticarsi la crociata wuxia di Dragon e l’horror di Three. Stavolta si tuffa nel melodramma sociale con Dearest, e come ha sottolineato anche la nostra recensione, trattasi di un film dolorosissimo che è riuscito a scavarci un pezzo di cuore.

Peter Chan è uno storyteller d’altri tempi, uno che sa sempre di cos’ha bisogno il pubblico: “Ho girato film di diversi generi per necessità, – spiega l’autore – il cinema di Hong Kong è molto adattabile, capace di cambiare a dipendenza delle richieste di mercato. Io poi, ho viaggiato molto, sono stato in Thailandia e a studiare all’estero, non ho mai avuto un unico ambiente, ed è per questo che non ho difficoltà ad adattarmi ogni volta. Non ho un ego come regista, io faccio quello che richiede l’industria. Quando era di moda fare grandi film d’azione ho girato The Warlords, che comunque analizzava profondamente i suoi tre personaggi”.

Ma che sia ancora possibile parlare di un cinema hongkonghese, in un momento in cui si è totalmente mischiato con l’industria Cinese? “Io vedo una sorta di rinascita del cinema di Hong Kong; non sono proprio totalmente ottimista al riguardo, ma negli ultimi tempi qualcosa sta forse salendo. Sai, il rapporto di Hong Kong con la Cina è complicato, sia a livello politico che economico. Nel cinema cinese poi, c’è ancora tanta censura, e pensiamo a tematiche come il sesso o il paranormale. Ma oggi, con gli studios emergenti, la Cina è vista come Hollywood per noi hongkonghesi, e molti registi vogliono emigrarci. 10 anni fa ci diedero il benvenuto perché non avevano cineasti commerciali; ora la cosa sta cambiando, perché molte pellicole non ottengono successo. È per questo che si sente una grande urgenza del ritorno di un cinema unicamente hongkonghese.

Raccontando un drammaticissimo fatto di cronaca, con Dearest Peter Chan ha avuto l’occasione di partire da una storia realmente avvenuta. “Non sono un regista che guarda molto alla realtà, ma quando ho visto queste tristi vicende in un telegiornale locale, ho immediatamente deciso di farci un film. Eppure, non voglio presentare la pellicola come un fatto di cronaca sociale, io sono semplicemente rimasto coinvolto dalla storia perché mi è entrata dentro. Il mio team di sceneggiatori ha poi provveduto a scavarne gli strati”. Tuttavia, ignorare il lato sociale dell’opera è sicuramente impossibile: “In Cina ci sono 50.000 rapimenti di bambini all’anno. Il problema è che da noi chi compra un essere umano non è penalizzato, ma solo chi lo vende. Questo, nonostante sia ovvio che esistano i venditori proprio per la presenza di compratori, quindi è una questione molto delicata.. Poi sai, molti, quando pensano a bambini rapiti, pensano a traffici di organi o parti del corpo tagliate, ma una gran parte del mercato riguarda invece i bambini rapiti per poi essere venduti come figli nelle zone rurali. Forse perché sono parti della Cina che non hanno avuto una forte educazione, e quindi non capiscono la gravità delle loro azioni”.

Di sicuro, una delle cose più interessanti della pellicola è lo switch di protagoniste. “Si, è molto unico come struttura. Seguiamo una protagonista fino a metà film, e poi improvvisamente cambia e viene sostituita da un altro punto di vista. Quello che volevo fare è mostrare entrambi i lati, e alla fine, il risultato è che non sai più chi possa avere ragione, per chi provare empatia e per chi no. Mi piace questa moltitudine di prospettive. Spero, con Dearest, di essere riuscito a portare agli spettatori la stessa commozione che ho provato io quando ho saputo delle vicende”.

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